venerdì 11 aprile 2014

Xera, la ragazza con la spada (pag. 56-57)

I ricordi di Alea (Finale)

Precipitai per diversi metri ma fortunatamente, caddi una specie di pozzo naturale che doveva essersi creato a causa dell’elevata umidità di quei sotterranei. M’inzuppai dalla testa ai piedi … coda inclusa. <<Grandioso, un viaggio pulito se non altro>> pensai. Il nuovo ambiente non si dimostrò gradevole quando il precedente, anzi aveva tutta l’aria di essere una prigione. L’unica via d’uscita, infatti, era saldamente sbarrata e alle finestre c’erano grate, spesse quanto il mio braccio. Per la prima volta da quando ero entrata nel tempio, riuscii a scorgere il cielo che intanto era diventato scuro e puntellato di stelle. <<Quanto tempo è passato? Non credevo di vagare da ore!>>. Presto la luna fece capolino e con uno strano gioco di luci, illuminò la stanza. 

Solo un lato però rimase in penombra così con la mia magia, cercai qualcosa da bruciare che diversamente delle mie bende, fosse asciutto. Anche in quel posto angusto c’erano delle torce, ma anch’esse erano umide e ammuffite. Non potendo allora fare diversamente, circondai alcune fiammelle con delle barriere e le disposi in circolo per tutta la prigione. Ebbi così una chiara visione dell’ambiente in cui mi trovavo e scoprii inoltre, che non lontano da me scavata nella parete, vi era una tomba. Mi avvicinai con circospezione giacché non avrei voluto inavvertitamente, attivare altre trappole e quando infine potei osservarla meglio, notai con orrore che sigillate in quella cripta, vi erano le spoglie della regina Eliza. <<Perché mai una sovrana tanto amata, è stata sepolta in una prigione?>> mi domandai. Così con la mente che pullulava d’interrogativi, mi sedetti accanto alla tomba, intenzionata a leggere l’ultimo verso della poesia. 

“Narra la storia che di Ebeth la regina,
fosse in vero una spietata assassina.
D’aspetto felino e sguardo scontroso,
uccise suo figlio e l’amorevole sposo.
Ma il senno tornò e compreso l’errore
Il petto trafisse, bruciando il suo cuore”

<<Ecco spiegata la prigione!>> pensai. A quanto pare anche Eliza aveva perso il controllo della mutazione e per un brutto scherzo del destino, si era resa colpevole della morte dei suoi cari; con l’ultimo briciolo d’umanità che l’era rimasto allora, si tolse la vita. Alle mie spalle quindi, sigillate da imponenti catene, vi era proprio il suo corpo. La rima tuttavia non conteneva altre informazioni e poiché durante l’intero viaggio si era rivelato un aiuto prezioso, pensai che fosse proprio quella tomba la chiave per la mia libertà. Ancora una volta evocai Kenòs che a causa della caduta si era dissolta. Bastarono quattro fendenti per spezzare le spesse serrature e quando caddero a terra pesanti, spinsi via il massiccio coperchio di pietra che proteggeva il corpo di Eliza. Per un momento dovetti allontanarmi a causa del forte tanfo che fuoriuscì, ma quando l’aria tornò respirabile, con una torcia magica improvvisata illuminai le spoglie. 

Nel momento in cui la luce sfiorò lo scheletro, questo tremò e come fosse stato appena rianimato, si sedette incurante della mia presenza. Arretrai agilmente creando una certa distanza tra di noi e con il braccio teso, mi preparai a colpire. Quando il corpo si alzò in piedi infine, tutta l’aria presente nella prigione divenne vento, sollevando polvere e acqua. Attratte poi come da un potente magnete, si andarono a fissare sullo scheletro che intanto attese immobile. In un batter d’occhio l’aspetto emaciato della regina mutò e da un consunto cadavere, si trasformò in una giovane donna. Il suo aspetto ricordava quello del dipinto nella sala grande, come se il tempo per lei non fosse mai trascorso. 

<<Chi siete voi?>> mi domandò nella lingua antica di Ebeth. <<Il mio nome è Alea Yanglea e come voi sono stata vittima del rito>>. La regina inaspettatamente rise di me, <<Vittima voi dite? Prescelta piuttosto. È stata la Dea a donarmi il potere>>. La risposta di Eliza mi spiazzò, secondo le parole di Zaharra, Aseth non aveva mai creato dei prescelti, eppure quella donna sosteneva il contrario e lo stesso ritratto la raffigurava in compagnia di un maìka.
<<Allora perché siete impazzita, uccidendo tutti i vostri affetti?>>. All’improvviso lo sguardo della regina cambiò e con violenza inaudita mi attaccò a sorpresa, servendosi delle stesse unghie come fossero lame. A stento parai la maggior parte dei suoi colpi e molti di questi andarono a segno, ferendomi in diversi punti del corpo. Anche la ferita sul braccio tornò a sanguinare e in pochi minuti la vista mi si annebbiò. 

Stanca di subire allora, sferzai l’aria cercando di colpirla con la mia lama, ma Eliza fu talmente rapida che i miei attacchi andarono tutti a vuoto. Evocai le fiamme quindi poiché già in passato mi avevano aiutato, ma su di lei tuttavia non ebbero alcun effetto, essendo il suo corpo circondato da uno strato d’acqua.  Eliza rise di me ancora una volta e senza darmi respiro, iniziò a infliggermi un’altra serie di colpi precisi e potenti. Altre ferite si aprirono sul mio corpo e gradualmente sentii la vita scorrere via insieme al mio sangue. Non avevo percorso tutta quella strada tuttavia per essere uccisa da un fantasma. Kenòs vibrò come a volermi spronare e impugnatola con entrambe le mani, mi fiondai contro la regina decisa a vincere. I nostri ruoli presto si ribaltarono e finalmente riuscii a lottare con lei da pari a pari. 

Nonostante la colpissi, però, nessuna ferita la indeboliva, anzi in pochi secondi queste si rimarginarono sotto i miei occhi. Che cosa potevo aspettarmi da un fantasma? <<Non puoi uccidermi: il mondo eterno è già la mia casa. Arrenditi sciocca e lascia che prenda il tuo cuore>> Fu in quel momento che mi tornò in mente la poesia <<Spero tu non mi tradisca questa volta>> pensai. <<Perché non vieni a prendertelo?>> dissi per provocarla e non se lo fece ripete di nuovo. Con le dita serrate, si leccò le unghie ancora macchiate del mio sangue e schernendomi con un ghigno, si fiondò ancora su me. Inavvertitamente però scivolai sul pavimento, a causa della sua viscosità e questa fu per me una fortuna, poiché con un calcio ben assestato, riuscii a farla volare sino al soffitto al quale sbatté violentemente vaporizzandosi. 

La mia esultanza tuttavia durò pochi secondi, gli stessi che le servirono per ritornare intera e infuriata. <<Ancora non hai capito? Non puoi vincere contro di me, io sono già morta!>>. La regina rise fragorosamente, appagata dalla grande differenza che c’era tra noi, <<Il mio maestro mi ha donato una lezione importante, vostra maestà!>>, <<Quale di grazia, ma pensa bene a quello che stai per dire, poiché saranno le tue ultime parole>> mi rispose. Questa volta fui io a sorriderle, <<Ride bene … chi ride ultimo!>>. Con le poche forze che mi restarono, le balzai contro cogliendola alla sprovvista e la mia spada s’inabissò nel suo corpo tagliandolo di netto … ma sapevo che non sarebbe servito a nulla. La ferita presto svanì ed Eliza contrattaccò senza alcuna pietà. Schivai le sue bracciate servendomi del dorso di Kenòs, evitando così di aggiungere nuove ferite al mio martoriato corpo. Quando la distanza tra noi però, divenne inesistente, la regina si preparò a darmi il colpo di grazia. 

Il primo attacco giunse da destra, ma s’infranse in una delle pareti alle mie spalle. In fretta allora, le bloccai il braccio che aveva proteso per lanciare il colpo, e con il pomolo di Kenòs ferii il suo volto. Eliza urlò dalla rabbia e proprio mentre questo si stava ancora rigenerando, scagliò la sua controffensiva intenzionata a uccidermi definitivamente. Ripresi il controllo della spada allora con entrambe le mani e spostando il peso del corpo sulla gamba sinistra, evitai la mano di Eliza che tuttavia mi lacerò il viso. La regina sorrise soddisfatta e ripiegando il braccio, con violenza lo conficcò nella mia spalla. <<A quanto pare sarò io a ridere per ultima!>> mi disse euforica. Io però restai in silenzio e irrigidendo i muscoli lacerati, le afferrai e quindi bloccai il suo braccio mentre la sua mano era ancora nel mio corpo. Con l’altra invece, strinsi decisa la mia fidata Kenòs che inesorabile, infilzai nel suo cuore. 

Eliza fu sorpresa dalla mia mossa e per un momento non disse nulla, poi però mentre la mia lama ancora le perforava il petto, ghignò soddisfatta, poiché di lì a poco anche quel mio ultimo sforzo sarebbe stato vano. Con la voce spezzata, allora ripetei << … E compreso l’errore, trafisse il petto bruciando il suo cuore>>. La regina cercò di divincolarsi dalla mia presa ma era troppo tardi. Evocai la mia fiamma con la stessa mano con cui brandivo Kenòs e come mai in passato, questa avvolse la lama che vibrando rinvigorita, arse il cuore della giovane donna. Anche il suo corpo fu presto avvolto dalle fiamme e con un’espressione di terrore, questa si dissolse diventando polvere. Le sue ceneri infine, tornarono nell’antica tomba che una volta sigillata da nuove catene, sbloccò un passaggio che mi consentì di abbandonare quell’orribile sotterraneo. La mia spada si dissolse presto: non avevo più la forza necessaria per mantenere l’evocazione e trascinandomi a fatica per lo stretto corridoio, giunsi in una nuova stanza che a differenza delle precedenti, sembrava meno regale. 

Le mura erano grigie e il pavimento invece, di comune pietra. Non c’erano né mobili né manufatti, anzi era quasi del tutto spoglia. Fatta eccezione per la parete centrale, alla quale era appoggiato un piedistallo impolverato che reggeva una di quelle piccole sculture che ebbi già modo di incontrare a Taseth. Anche questa minuta statua rappresentava un maìka ma non era né pregiata, né nascondeva enigmi da risolvere. Frustrata e allo stremo delle forze, lasciai cadere la mia bisaccia che già provata dai combattimenti precedenti, si scucì spargendone il contenuto sul pavimento. Alcune fiale rotolarono via, altre invece erano già infrante. La pergamena ormai era tutta macchiata tuttavia sapevo che non mi sarebbe più servita. Le mie ferite inoltre, erano troppe e non avevo più abbastanza medicine per medicarle tutte. 

Quando poi cercai di tamponare il foro nella spalla, ritornarono gli spasmi della mutazione che mi fu impossibile controllare, avendo terminato anche le pozioni a mia disposizione. Braccia e gambe si paralizzarono più velocemente rispetto alle volte precedenti, poi un dolore lancinante mi percorse il corpo irrigidendolo. Distesa al suolo inerme, sentivo il destino prendersi gioco di me, dopo tutta quella fatica non sarei sopravvissuta abbastanza da incontrare la misteriosa Aseth. Il sangue cessò di scorrere e quando chiusi gli occhi, l’unica cosa che riuscii a sentire, fu l’ultimo battito del mio cuore.

Mi risvegliai con la sensazione di aver dormito per mesi, persino i miei stessi occhi fecero fatica ad adattarsi al bagliore di quel posto. L’ambiente intorno a me, infatti, era cambiato: la luce dominava le tenebre e circondava il mio corpo donandogli forza e vitalità. Non avevo più nessuna ferita o profondi solchi sulla spalla. Ero sana e salva. Quando mi sollevai in piedi, notai che i miei indumenti erano diversi. Adesso indossavo la stessa veste con cui avevano ritratto Eliza, ma al contrario della sua, la mia era candida con una cintola d’oro che cascava sul fianco. I miei piedi invece erano nudi e nonostante fossi scalza, il pavimento mi sembrò caldo. Guardandomi attorno, osservai che non c’era nessuno oltre a me, ma solo uno sterminato ambiente luminoso che tuttavia m’infondeva serenità. 

<<Sono morta!>> dissi a voce alta. <<No mia cara, non lo sei … ancora>>. Colta alla sprovvista, mi voltai in direzione della voce e dinanzi a me, vidi il maìka nero più grande che avessi mai incontrato che disteso su di un soffice cuscino, mi osservava incuriosito. Il colore del suo manto però, mi parve contrastasse volutamente con tutto il resto. Poiché ero troppo frastornata per formulare una frase di senso compiuto, il maìka si sollevò. Quando poi si sedette, il suo aspetto mutò e da bestia, esso divenne una giovane donna. La pelle scura risaltava i suoi occhi: uno d’argento e l’altro nero come una notte priva di stelle. I lineamenti del suo viso erano regali e i capelli neri le ricadevano morbidi sulle spalle e sulla schiena, fino a toccare il pavimento. Attorno al collo inoltre, indossava un girocollo che mi ricordò il collare che la bestia sfoggiava sino a poco prima, al quale a sua volta, era incastonata una pietra che da un lato sembrava un diamante e dall’altro uno zaffiro. 

Anche la fanciulla indossava una veste simile alla mia ma dorata e dalla cintola d’argento. Non aveva né la coda né le orecchie feline, e sui lobi esibiva due orecchini d’oro che ricordavano un paio di spade gemelle in miniatura. Quando mi venne in contro scrutandomi attentamente, avvertii un intenso profumo di cannella e di biscotti appena sfornati che rammentarono al mio corpo cosa volesse dire “avere fame”. <<Incredibile, con un piede nel mondo eterno, hai ancora appetito! Singolare davvero>>. Poi riprese a fissarmi in silenzio, quasi stesse testando le mie emozioni. Iniziai, però, a stancarmi e prendendo coraggio, le rivolsi una domanda <<Siete voi la Dea Aseth?>>. La fanciulla si fermò e sorridendomi rispose <<Ne-Ab-Aseth è il nome completo, ma voi umani continuate a chiamarmi solo Aseth, come fossimo amici di lunga data!>>. Il tono della sua voce, rivelò un profondo disprezzo vecchio di secoli e che difficilmente avrebbe abbandonato. 
<<Ho tante cose da dirvi prima che il mio tempo si esaurisca del tutto>>, <<Oh! Non dubito che siano molte le ragioni che ti hanno condotto fino a qui, ma il punto è che io non ho alcuna intenzione di ascoltarle … so già perché mi cercavi, è così ovvio dopotutto. Coda, orecchie … e i tuoi stessi occhi costituiscono una chiara prova del tuo reato e la morte è l’unica pena equa che meriti>>.

Ancora una volta mi feci coraggio <<Non è stata una mia scelta, questa condizione è un inc…>>, <<Incidente? Mia cara Alea, vuoi forse prenderti gioco di un Dio? Salvare quella fanciulla è stata una tua scelta, venirmi a cercare è stata ancora una tua scelta, affrontare i miei schiavi indovina? Una tua scelta. Quando ti ho narrato la storia di Taseth, avevi due strade davanti a te: la prima era scegliere di morire, la seconda invece, di provare a cercarmi. Ancora una volta allora, ho voluto metterti alla prova e ti ho donato la pergamena che durante il viaggio ha continuato a narrarti la crudeltà dell’animo umano. La tua scelta però è sempre stata la stessa. Hai continuato a combattere persino di fronte alla regina Eliza che impazzendo, ha ucciso le persone più importanti della sua vita, prima di suicidarsi per il dolore. Quante altre lezioni avrei dovuto darti prima di farti aprire gli occhi?>>. Restai in silenzio. 

Apprendere che la Dea mi era sempre stata accanto, fu per me una scoperta sconcertante. Persino l’anziana Zaharra non era altro che Aseth camuffata. Le sue parole continuarono a rimbombare nella mia testa, confondendomi e distruggendo definitivamente le mie ultime speranze. <<Gli umani sono esseri privilegiati, hanno tutto quello che potrebbero desiderare eppure sono alla continua ricerca di qualcosa. Non possono fare a meno di sentirsi incompleti e per sopperire a questa sensazione, sprecano la loro breve esistenza alla ricerca di quel qualcosa. Il desiderio di potere poi ha annientato milioni di uomini e donne che se avessero guardato oltre il loro naso, avrebbero compreso quanto in realtà erano già fortunati. I miei fratelli e le mie sorelle inoltre, iniziarono scioccamente a condividere la loro essenza con alcuni di voi “i prescelti” e nonostante fossi contraria, non fui mai ascoltata sebbene (io sola) conoscessi cosa davvero era celato nel cuore degli uomini. 
Ovviamente questo privilegio non fu abbastanza per voi e anziché migliorare per essere degni di ricevere quel dono, avete preteso che fosse esteso a tutti indiscriminatamente. Quella maledetta strega infine ha creato il rito proibito per vendicare suo figlio, condannando così tutti noi. Anch’io ho commesso i miei sbagli; solo una volta, infatti, mi lasciai convincere a condividere il mio potere con l’unico umano verso il quale avevo provato ammirazione: la regina Eliza, una di quelle rare persone il cui cuore era votato al bene soltanto. I miei sentimenti però mi accecarono e m’impedirono di scrutare nella profondità del suo animo quanto bastava per scorgere quell’insignificante barlume oscuro che pian piano la stava divorando. I miei poteri infine hanno fatto tutto il resto … ma questa storia la conosci già>>.

Con un gesto della mano, Aseth evocò un trono bianco dai piedi neri sul quale poi si accomodò continuando a fissarmi. <<Non esistono luci senza ombre e proprio per questo io non posso fidarmi di nessuno … tu non fai eccezione. Ora sparisci, prosegui per il mondo eterno e non mi assillare. Il tuo destino è stato già scritto>>. La Dea non mi guardò più, aveva perso ogni interesse nei miei confronti ma io non mi arresi. Sapevo che dinanzi a me c’era una divinità tuttavia questo non mi fermò e senza nemmeno pronunciare la formula, mi ritrovai Kenòs tra le mani, più potente che mai (persino le sue dimensioni erano aumentate). Aseth si alzò sorpresa e con una velocità per me incomprensibile, mi fu davanti bloccandomi il viso con le mani mentre con gli occhi disintegrò la mia anima. La spada svanì senza che io lo volessi e allo stesso modo persi il controllo del mio corpo. L’unica cosa che m’impediva di impazzire, era il tocco della Dea, fermo e inesorabile. Non so quanto tempo trascorsi in quello stato, forse mille anni oppure pochi secondi, il tempo divenne insignificante. Quando Aseth si staccò dal mio corpo, aveva un aspetto diverso, quasi intimorito. 

<<Chi sei tu?>> domandò urlando e l’eco della sua voce rimbalzò in ogni centimetro del mio cervello. Piegandomi in due dal dolore, riuscii solo a rispondere <<Non lo so, i miei ricordi sono stati cancellati>>, ma non riuscii a convincerla e con lo stesso timbro, continuò a farmi altre domande. <<Da dove vieni? Chi ti ha mandato? E perché la tua anima non ha cessato di esistere, quando l’ho ridotta in milioni di pezzi?>>. Non conoscevo nessuna risposta  e ben presto anche lei se ne rese conto. Ancora una volta però mi si avvicinò sorprendendomi e come nulla fosse, mi trafisse il cuore con una mano in cerca d’informazioni.
<<Non appartieni a questo mondo e la tua vita inoltre non ha una data di scadenza. Il tuo cuore tuttavia è il più puro che io abbia mai incontrato … e allo stesso tempo il più malvagio. Luce e oscurità non si combattono anzi al contrario, sono come sorelle. Ti farò una proposta e mi aspetto che tu la accetti, non ce ne sarà una seconda se non il confinarti in una dimensione vuota come questa, per l’eternità>>. Nonostante la sua mano stesse ancora stringendo il mio cuore, non provavo alcun male e con un cenno del capo, acconsentii ad ascoltare. 

<<Sei immortale è vero e proprio per questo, senza alcun sigillo, la mutazione ti tramuterebbe nel mostro peggiore che Raifaelia abbia mai conosciuto e infine ti porterebbe a distruggerla. Questa però è anche casa mia e non posso permetterlo. Ti donerò una parte della mia essenza che d’ora in poi dimorerà nel tuo corpo, almeno fino a quando non avrai appreso chi sei in realtà. Questa informazione mi è preclusa e perciò non è in mio potere aiutarti>>. Sospirai sollevata. <<Attenta però, farò quanto promesso solo a una condizione …; quando avrai le informazioni che cerchi, abbandonerai per sempre Raifaelia e non vi farai più ritorno. Giuralo Alea Yanglea>> La sua mano si strinse ancora di più, al punto da costringermi a terra in ginocchio, trovai tuttavia la forza di rispondere: <<Accetto!>> gridai. Non dissi altro, né tanto meno lei, sentii solo una forza inesauribile, entrarmi nel petto e diventare infine parte di me. 

Quando mi risvegliai, ero fuori dalla fortezza con indosso i miei vecchi abiti. Il mio aspetto però non era cambiato, coda e orecchie feline facevano ancora parte di me e fu proprio quando sfiorai queste ultime, che mi accorsi della presenza di orecchini che nell’aspetto ricordavano delle spade in miniatura. Quando le toccai, queste vibrarono contente e solo allora mi resi conto che stretta nella mano sinistra, c’era la mia compagna di sempre: Kenòs. Era apparsa senza che io la invocassi, di sua spontanea volontà. Anche lei vibrava euforica, inebriata dal mio nuovo potere. Non avevo più ferite sul corpo, né cicatrici come se non avessi mai combattuto. Al posto invece, della pugnalata sulla coscia, adesso c'era un sigillo, “il marchio di Aseth”, la prova del giuramento fatto alla Dea e un monito che mi avrebbe sempre ricordato qual è il mio destino.


Xera ascoltò il racconto in assoluto silenzio, senza mai interrompere la nuova amica, rivivendo con lei i suoi vividi ricordi e tutti i sentimenti provati. Quando il discorso finì, la guerriera abbracciò Alea ringraziandola per averle permesso di scrutare nella sua anima e nei suoi pensieri più intimi.

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