martedì 1 aprile 2014

Xera, la ragazza con la spada (pag. 53)

I pensieri di Alea (parte quinta) 

Prima di poter restare in piedi senza difficoltà, dovetti ingurgitare diverse dosi di una medicina stantia che mi avrebbe permesso finalmente, di intraprendere il mio nuovo viaggio. Zaharra mi donò inoltre, un mantello con un duplice obiettivo: il primo era di nascondere il mio aspetto al resto della popolazione di Taseth, mentre il secondo, invece, era di proteggermi dalle raffiche di vento e sabbia che mi avrebbero investito una volta in marcia. Senza alcuna difficoltà riuscii a rientrare in possesso della mia bisaccia, nella quale l’anziana donna, ci aveva inserito tutto l’occorrente per affrontare la mia nuova missione; comprese delle pozioni supplementari nel caso avessi impiegato più tempo del previsto (sebbene fosse quasi agli sgoccioli). 

Decisi di apportare delle piccole modifiche ai miei abiti affinché la mia nuova coda potesse muoversi liberamente, senza provocare incidenti imbarazzanti. Per le orecchie invece c’era poco da fare, ma fortunatamente, il mantello era munito di cappuccio e quindi non avrebbero costituito un grosso problema … per ora almeno. Consultando la mappa mi resi conto che per accedere alla fortezza, avrei dovuto attraversare la giungla alle spalle del villaggio. Non era la prima che vedevo, ma probabilmente era la sola nascosta in mezzo a un deserto. Camuffato tra alberi e liane, c’era un portale che mi avrebbe condotto sul lato opposto del deserto di Ashamor: punto peculiare dal quale avrei poi iniziato la ricerca del tempio. 

<<Mi sono presa la libertà di riempire la tua borsa con del cibo, bende e pozioni utili per qualsiasi circostanza; ho applicato inoltre, un incanto alla bisaccia in modo tale da permetterle di trasportare il doppio del contenuto attuale>> spiegò Zaharra porgendomi il bagaglio. La ringraziai per tutto quello che aveva fatto per me e poco prima di andare, le rivolsi una domanda: <<Perché mi hai aiutato? Sono una straniera dopotutto e verso di me non avevi alcun obbligo>>. 

La donna mi guardò e sorridendo rispose <<Sei una ragazza diffidente … proprio come Aseth. Sbagli comunque nel dire che non avevo obblighi nei tuoi confronti. Non avrei mai permesso alla donna che ha protetto mia nipote, di morire dinanzi ai miei occhi. Le hai impedito di affrontare quello sciocco rituale che l’avrebbe sicuramente uccisa>> Zaharra si sedette affaticata, <<Questo villaggio e tutti i suoi abitanti sono maledetti e la cosa peggiore è che questa maledizione è stata auto inflitta. La Dea Aseth un tempo risiedeva tra noi e noi soltanto potevamo godere della sua presenza. Era venerata e amata ma soprattutto rispettata. Aseth però fu l’unica divinità a non creare mai prescelti, forse perché a causa del suo potere ambivalente, il lato oscuro del designato avrebbe potuto prendere il sopravvento. In seguito alla furiosa caccia agli Dei inoltre, divenne ancor più restia e dichiarò che mai avrebbe donato i suoi poteri a un umano. Alcuni di noi non accettarono questa decisione, per cui durante una celebrazione in suo onore, la più fidata delle sue ancelle le tagliò la gola e versò il suo sangue in un calice. 

Quest’azione condannò il villaggio, poiché tutti quelli che desideravano i poteri dei prescelti, iniziarono ad attuare, in modo sconsiderato, il rituale di Raghana. Sarebbe inutile dirti che cosa è accaduto in seguito. Restarono in vita solo pochi di noi ma sfortunatamente questa tragedia non distolse i miei sciocchi compagni dall'abbandonare le loro folli ambizioni. Anzi al contrario, rafforzò in loro il desiderio di generare il primo prescelto di Aseth. Ogni anno da quel giorno, ci sarebbe stata una celebrazione in onore della Dea (anche se ormai ci aveva abbandonati per sempre). Poiché Aseth era nella sua forma mortale, una ragazza assai giovane, si decise che al rituale avrebbero partecipato solo le fanciulle che le somigliavano nell’aspetto, con la speranza che questo espediente potesse aumentare le probabilità di successo. 

Cercai in tutti i modi di dissuaderli e per punirmi, fui bandita dalle celebrazioni. Sostenevano, infatti, che il mio cuore avverso avrebbe influito negativamente sull'esito del rito. Provai a spiegar loro che senza l’ausilio di Aseth, il rituale era destinato comunque a fallire, essendo un raggiro, ma ancora una volta fui derisa e scacciata. Capirai allora che quando il Maestro ha bussato alla nostra porta, cinque giorni fa, per comunicarci che la mia giovane nipote sarebbe stata la nuova prescelta, ho fatto l’impossibile per impedirlo. La mia famiglia però, è tra coloro che sostengono il rituale … forse perché fu proprio mia sorella a uccidere Aseth nella sua forma mortale. 

L’azione immorale di Sesùa ci ha condannati tutti, ma nessuno se ne rende conto. Quando avrai abbandonato Taseth, mi accerterò che il calice sia distrutto, così da liberarci per sempre da questa maledizione. Spero davvero che tu possa convincere la Dea maìka, a mio avviso sei l’unica che merita di essere salvata. Ora però non indugiare, parti e fa presto; il tuo tempo è troppo prezioso, non sprecarlo con una vecchia sciocca>>. Ringraziai Zaharra di nuovo, se nel mio cuore c’era ancora speranza, era per merito suo.

Attraversai il villaggio velocemente senza che nessuno si accorgesse di me; fu semplice dopo tutto, considerando che gli abitanti di Taseth se ne stavano ancora rintanati nelle loro case. Giunta all'ingresso della giungla, mi guardai alle spalle e per un instante notai una vecchia signora agitare il suo bastone in segno di saluto. Scomparve però, così in fretta che dubitai di quanto avevo appena visto. La prima parte della traversata andò liscia come l’olio, infatti, mi limitai a seguire un vecchio sentiero, tracciato per facilitare il cammino tra gli alberi. Man mano che m’inoltravo tuttavia, la strada divenne meno visibile a causa della fitta vegetazione che l’aveva quasi ricoperta del tutto. Ipotizzai che l’ultimo tratto del sentiero fosse il meno battuto, forse perché nessuno aveva avuto più il coraggio di proseguire fino al cuore della giungla. 

Quando la strada svanì del tutto, iniziai ad affidarmi alla mappa, distogliendone lo sguardo solo per accertarmi di non cadere in qualche voragine nel terreno. Dopo un’ora di marcia, pensai di essere ormai prossima alla meta, sebbene quel paesaggio sempre uguale cominciasse a disorientarmi. Decisi allora di riposare per qualche istante e approfittai di quei pochi minuti per rileggermi la mappa. Quando finalmente compresi che la direzione intrapresa era quella giusta, decisi di rimettermi in cammino. Giunta nei pressi di una fonte d’acqua però, restai senza parole. Quella sorgente fu l’ultimo punto di riferimento che la mappa mi fornì. Da lì in poi le indicazioni mutarono e da disegno, assunsero l’aspetto di una poesia. Non mi persi d’animo tuttavia, nonostante considerassi assurdo che quattro versi in rima decidessero del mio destino. Lessi così il primo con attenzione:

Il sentiero degli uomini è un ricordo sbiadito,
e d’ora in avanti, ti sentirai affranto e smarrito.
Ma non indugiare oltre, oh mio sprovveduto,
poiché la meta che adesso ti ho appena taciuto,
appare soltanto a chi abbonda d’astuzia tale,
da giungere a occhi chiusi, fin dentro il Portale”

<<Perfetto!>> pensai, << sarà una passeggiata allora, se tutti i versi sono così dettagliati, troverò il tempio entro stasera>>. Cominciai a calciare per la rabbia un sasso che ebbe la sfortuna di capitarmi a tiro. Il mio unico indizio era completamente inutile: non una coordinata, né tanto meno un punto di riferimento. <<Astuzia!>> gridai furente, <<Perché non ci ho pensato prima, è così logico alla fine>> ancora una volta continuai a calciare tutto ciò mi intralciava il mio “astuto” camminare avanti e dietro. Quando sgombrai il terreno dalla più piccola roccia, mi tranquillizzai ma non prima di un ultimo gesto di stizza. Afferrai quindi un sasso un po’ più grande e con forza lo lanciai nella fonte. 

Inaspettatamente generai un’onda tale da bagnarmi tutto il mantello e non solo. Anche la terra attorno alla piccola fonte s’inzuppò, ad eccezione di una parte di questa che al contrario, rimase asciutta. Mi avvicinai incuriosita e notai allora che delle gocce stavano scorrendo via da una superficie inesistente. Servendomi dell’acqua della fonte quindi, decisi di bagnare tutta l’area circostante e notai lo stesso fenomeno per diversi metri. Senza esitare allora, allungai le mie mani in direzione delle gocce sospese e quando giunsi a sfiorare della roccia bagnata, fui investita da una luce intensa che mi costrinse a ripararmi la vista per non rimanerne abbagliata. Quando il bagliore si affievolì, tolsi le mani dal viso e dove prima c’era uno spiazzo vuoto, era comparso il tanto agognato portale. 

Sopraffatta dall'emozione, mi accasciai al suolo ammirando l’antica struttura con soddisfazione. Rilessi allora il primo verso della poesia e finalmente lo compresi. Così come il villaggio di Taseth, anche il Portale era nascosto da una barriera che lo rendeva invisibile, per cui affidarsi alla sola vista sarebbe stato inutile. Premesso questo, avrei potuto, senza far ricorso all’acqua, notare che la vegetazione era minore in alcune zone dello spiazzale e se non fossi stata travolta dalla rabbia, lo avrei trovato facilmente senza inzupparmi. Mi ripromisi di prestare più attenzione ai dettagli che i versi mi avrebbero fornito e rialzandomi, preparai l'offerta da versare come tributo per la transizione. <<Due monete d’argento, pensavo mi sarebbe costato molto di più>> dissi a voce alta, poi arrotolai la pergamena e mi disposi al centro dell’antica porta.

<<Con la protezione della Dea Abheon e con cuore sincero, Alea Yanglea ordina che il tempo e lo spazio si pieghino al suo volere; con una mano porgo l’offerta e con l’altra la pergamena>>.


Quando la formula finì, le rune impresse sulla carta si illuminarono e nello stesso modo anche il portale. Ancora una volta mi parai la vista per il bagliore accecante, poi come da manuale, abbandonai le monete stando invece, ben attenta a non mollare la presa della pergamena. Quando il senso di vertigine svanì e così la luce intensa, compresi che il trasporto magico era terminato e mi decisi a riaprire gli occhi. Ci volle un po’ per riabituarmi alla luminosità dei due soli, essendo stata fino a quel momento, riparata da fitti alberi. Senza aspettare oltre mi coprii il capo con il cappuccio e per i miei occhi fu un sollievo non essere più torturati dalle correnti di vento e sabbia da cui poi fui investita. Ero nel bel mezzo del deserto di Ashamor e la mia unica guida sarebbe stata una poesia.

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