Il nuovo atrio era
lugubre e asfissiante, poiché il profumo di fiori di cui era impregnato, divenne
talmente intenso da costringere Xera a ripararsi il viso con la mano. Non
appena sfiorò l’elmo, questo vibrò leggermente richiudendosi sia sul naso sia sulla
bocca, affinché la guerriera potesse procedere senza preoccuparsi del tanfo. La
stanza aveva un soffitto alto ed era rivestita interamente di solidi mattoni di
pietra lavorata, che a causa del tempo si erano deformati e diroccati in
diversi punti. Non c’erano né finestre né altre vie d’uscita, escludendo la
porta dalla quale era entrata. Quattro colonne di notevole larghezza, erano
invece gli unici sostegni del soffitto, disposte alle estremità della stanza
quadrangolare, della quale Xera non riuscì a comprenderne la funzione.
Era vuota infatti, e ogni passo della guerriera rimbalzava sulle pareti, proponendo lo
stesso suono più volte; Xera rabbrividì. Di tanto in tanto si sentiva qualche
goccia d’acqua cadere dai muri e il vento sibilare tra le fessure, ululando come un Hulfùr. Xera protese il maglio per illuminare l’atrio in cerca
dell’uscita ma la stanza aveva un unico ingresso, che di certo non le avrebbe
permesso di proseguire oltre. Giungendo quindi al centro del salone, la guerriera
osservò degli strani simboli incisi sul pavimento, che si diramavano come le trame
sottili di una ragnatela, per tutta la stanza. Non ne aveva mai visti di simili
in passato e la curiosità ebbe il sopravvento, così pian piano si ritrovò a
seguire l’andamento delle scritte, che si protraevano persino sui muri. Una
sensazione di oppressione, all'improvviso la investì.
Quei simboli incisi in
maniera tanto meticolosa, le sembrarono sbarre di una gabbia invisibile, dalla
quale era impossibile scappare. Ne ebbe conferma difatti, quando tornando sui
suoi passi, si diresse verso l’entrata. Questi s’illuminarono rivelando il loro
potere celato, che generò una barriera con lo scopo di impedire a Xera qualsiasi
tentativo di fuga. Per quanto provasse a percuoterlo con il maglio, lo scudo
non s’incrinò, né diede segni di cedimento. Persino i colpi inferti a mani
nude, non ebbero alcun effetto. <<Di
bene in meglio!>> proferì ad alta voce, esasperata dall'ennesima trappola. <<Perché non ti fai
vedere così da poterci battere, una volta per tutte? Sono stanca dei tuoi
continui giochetti!>> aggiunse. Ma non ebbe risposta e la sua voce si
perse tra le mura della stanza. Trascorse circa un’ora o poco più e Xera,
stanca di attendere oltre, iniziò a scalpitare impaziente. E quando infine non
ce la fece più, afferrò il maglio e lo agitò con violenza contro qualsiasi cosa
le capitasse a tiro.
Uno dei colpi infranse il pavimento, deviando il flusso
energetico generato dai simboli magici. Lo scudo tremò e per qualche
secondo Xera ebbe la sensazione che avesse ceduto. Non avendo idee migliori,
continuò a distruggere il pavimento soprattutto in direzione delle incisioni e alla
fine il campo d’energia ne risentì a tal punto, da infrangersi come fosse uno
specchio. Libera dalla prigione magica, la guerriera non placò la sua ira, e
perlustrando le mura, cercò insistentemente anche il più piccolo dettaglio che
potesse rivelarle la strada da seguire. E fu allora che, prestando attenzione all'aria,
si accorse della presenza di fessure (a stento percettibili) sulla parete
laterale, dalle quali proveniva il tanfo di fiori. In altre circostanze avrebbe cercato l’interruttore
o la leva nascosta, che impedivano all'uscita di mostrarsi, ma dopo due giorni
di corsa incessante e trappole continue, la sua lucidità ne aveva risentito,
per cui la forza bruta le sembrò la giusta soluzione a ogni problema.
Di nuovo bersagliò con il maglio il muro dinanzi a lei, provocando un crollo
strutturale della parete, che le permise di accedere alla sala adiacente senza
troppi complimenti. L’odore acre di fiori appassiti divenne insopportabile,
pizzicandole le narici e la gola, benché protette dall'elmo. Allo stesso tempo
però, le provocò inquietudine perché la regina non doveva essere ancora molto
lontana. Non ebbe il tempo tuttavia, di badare al nuovo atrio (identico al
precedente) poiché ad attenderla, ritrovò le fastidiose lucertole, schierate proprio
come un esercito prima di una battaglia. I loro movimenti innaturali si
ripetevano in sincrono e così i loro attacchi. Ogni volta che Xera li sfiorava,
i rettili bruciavano a causa del potere della sua armatura, ma la loro
superiorità numerica misero a dura prova le poche forze rimaste della guerriera.
Più ne annientava e più il loro numero aumentava. Era un ciclo senza fine. L’aria, già irrespirabile, divenne simile alla nebbia a causa del gas velenoso
rilasciato dalle lucertole, che tuttavia non ebbe alcun effetto sulla
guerriera, protetta dai poteri taumaturgici del maglio di Reilhan.
Improvvisamente però
questo vibrò, attratto da una strana forza che costrinse Xera a muoversi
verso una direzione ben precisa, abbandonando i suoi avversari. Fu arduo
trattenere il martello e per non perdere l’unica arma di cui disponeva, si
lasciò trascinare senza opporre resistenza. Le lucertole tuttavia non lasciarono l’atrio, né tentarono di seguirla e questo preoccupò la guerriera. Non percorse
una grande distanza; pochi metri soltanto e si ritrovò di nuovo nella sala del
trono, benché spoglia della barriera di rovi che in passato separava la regina
dai suoi nemici. Il maglio s’illuminò ancora di più e finalmente Xera poté
studiare la stanza, per la prima volta da quando era entrata nel castello. Il
trono era l’elemento di pregio di quel luogo, sebbene fosse costituito da ossa
che da quanto detto dalla regina, erano umane. Ogni osso e teschio era cucito al
trono per mezzo di piccoli rovi che di tanto in tanto facevano capolino,
mostrando le irte spine appuntite, distribuite su tutta la seduta regale.
C’erano
molte finestre in quella sala, eppure la luce esterna era bloccata dalle spesse
tende di velluto che le ricoprivano per tutta la lunghezza. La stessa sorte toccò
persino alla grande porta a vetri, dalla quale lei ed Elesya avevano fatto
irruzione nel castello.
Anche in quella sala
il tempo aveva affisso le sue piccole medaglie. Le pareti, infatti, presentavano
crepe e solchi che sfiguravano i preziosi affreschi distribuiti in tutta la
stanza. Si potevano tuttavia ancora scorgere, le scene di caccia rappresentate
minuziosamente e momenti di vita quotidiana, di cui protagonista era una donna dall'aspetto etereo. Xera ne fu abbagliata e allo stesso tempo intimorita,
ripensando a come il suo aspetto attuale fosse mutato. Mentre i suoi occhi si
perdevano nell'ampia sala del trono, scorse in lontananza un corpo riverso sul
pavimento. Senza perdere tempo allora, raggiunse il punto esatto, con
il cuore che le batteva all'impazzata nel petto.
Xera s’inginocchiò e
servendosi del maglio, illuminò il corpo. Era Elesya, che stordita dal gas di
Goreha, giaceva priva di sensi accanto alle sue cose. Di Reilhan invece non vi
era alcuna traccia. La guerriera accostò
il maglio al corpo dell’amica, sperando che la magia del curatore, di cui il
martello era infuso, potesse risvegliarla dal sonno profondo nel quale era sprofondata.
Dopo alcuni secondi, infatti, Elesya si ridestò con la testa che le pulsava e
incapace di ricordare quanto le era accaduto.
***
Quando la maga
riaprì gli occhi - inginocchiato accanto a lei - scorse un guerriero protetto
di tutto punto da una scintillante armatura d’argento. Per un momento ne fu
intimorita, non sapendo chi fosse e perché le tenesse la mano con tanta insistenza. Provò imbarazzo e le sue guance diventarono rosse,
manifestando l’antica timidezza di cui ormai credeva di essersi liberata. Poi
però i suoi occhi incrociarono quelli del guerriero e il suo cuore scalpitò
felice. <<Xera, sei tu?>>
disse tremante e il guerriero annuì. Sottraendo le mani alle sue, la giovane leva sfiorò l’elmo
sul suo capo e questo si aprì scoprendone il volto. Aveva sempre considerato
Xera una fanciulla molto bella, che tuttavia faceva di tutto per nascondere la
sua femminilità; la consapevolezza inoltre, che per il resto della vita si
sarebbe vestita di sole armature, non le permise di comprendere perché una
donna potesse vagliare una simile scelta, rinunciando così al proprio essere e
alla propria bellezza. Quando però poté osservarla per la prima volta, con
indosso una vera armatura, Elesya dovette ricredersi.
Il duttile metallo scolpiva
le sue forme sinuose mentre la luminosità dell’argento esaltava l’abbronzatura
della sua pelle, rendendo la guerriera, una ragazza dalla bellezza
incomparabile. <<Stai bene?>>
le domandò ed Elesya annuì, posando lo sguardo sul maglio adagiato sul suo
addome. <<Questo è … >>
mormorò, cercando il curatore con gli occhi e tuttavia rimase delusa per la
sua assenza. <<La tua nuova
armatura è fantastica!>> disse, tornando in piedi grazie all'aiuto di Xera, che non essendo abituata ai complimenti, arrossì. << È Divaahr, in verità; è una lunga storia,
quando usciremo da qui, te la narrerò!>> tagliò corto, non
volendo perdere la concentrazione; errore che aveva già commesso in passato,
pagandolo a caro prezzo. Elesya afferrò
il bastone forte della sua magia che nel sonno si era rigenerata, mentre Xera
continuò a brandire il maglio, illuminando la stanza a giorno.
La terra sussultò all'improvviso sbilanciando l’equilibrio delle due fanciulle, e dal pavimento germogliarono ancora una volta i rovi oscuri - che affilati come spade - attaccarono
senza esitare. Elesya allora evocò le corde nere per immobilizzare i loro
movimenti mentre Xera li martellò con tutta la forza che aveva, riducendoli in
polvere. Un urlo straziante raggelò il sangue delle ragazze che impietrite,
restarono in silenzio. <<Che voi
siate maledette! I miei bambini … che cosa gli avete fatto>> continuò
a gridare. Da una voragine nel pavimento, emerse il mostruoso essere - metà
rosa/metà rettile - che versando copiose lacrime violacee, maledì le fanciulle
per aver sterminato la sua prole. Accanto a lei, con gli occhi vitrei e dal
volto inespressivo, vi era Reilhan succube della regina velenosa e dal cui
collo spuntava un bocciolo azzurro, che inquietò le due amiche.
Alla vista del
maglio Goreha ebbe un fremito. <<Dove
lo hai trovato, tu dannata?>> asserì furente, poi osservò la
guerriera e la sua scintillante armatura, e indietreggiò dinanzi allo stemma impresso sulle vestigia. Uno dei rovi del rettile allora, sfiorò il
bocciolo sul collo del curatore, inducendolo così gradualmente a fiorire,
<<Quando la rosa sboccerà, la
mente e il corpo di questo ragazzo mi apparterranno per sempre!>> esclamò.
Xera corse in direzione del compagno, tentando di interrompere il processo d’asservimento
in corso, ma la regina tessé una rete con i suoi rovi che bloccarono i
movimenti della guerriera. Una forte luce scaturì alle sue spalle -
precisamente dal bastone di Elesya - e in una frazione di secondo, una gabbia
di lame lucenti circondò Xera, dilaniando i rovi che la imprigionavano.
<<Grazie!>> disse,
rivolgendo un sorriso all’amica che tramite le corde, le liberò il passaggio.
<<Ci penso io a loro!>>
affermò Elesya sicura di sé e la guerriera poté proseguire oltre. Ormai lo
spazio che la divideva da Reilhan divenne esiguo, e tuttavia la regina non osò
muovere un muscolo, forse intimorita da qualcosa che Xera non riusciva a
comprendere. <<Reilhan!>>
urlò allora la ragazza, sperando di poterlo destare, ma fu tutto inutile. E proprio
quando i petali sul suo collo iniziarono ad aprirsi, il novizio si mosse, impugnando
una lunga spina appuntita come fosse una spada.
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