<<Prevedibile!>> pensò, quando l’ingresso
del labirinto svanì una volta superato. Xera scrutò la nuova caverna con
circospezione, non aveva più senso correre ora che le lucertole avevano smesso
di inseguirla. I muri del labirinto erano costituiti da siepi impenetrabili di
notevole altezza, forse per impedire ai malcapitati ospiti di orientarsi. Per
Xera tuttavia non avrebbe fatto alcuna differenza, essendo in grado di perdersi
persino in città perfettamente organizzate. All’idea di dover affrontare un
sistema di strade senza uscita la guerriera rabbrividì, rimpiangendo i rettili
che si era appena lasciata alle spalle.
Xera s’incamminò senza prestare
particolare attenzione alla strada imboccata, poiché il labirinto la distraeva
continuamente. Le siepi, infatti, apparentemente identiche rivelarono invece caratteristiche
singolari. Alcune erano gremite di rose variopinte; altre di rovi
inespugnabili; altre ancora avevano forme irregolari che ricordavano, per certi
versi, i giardini reali di Nortor. <<Non
ha badato a spese!>> esclamò a gran voce. Ogni siepe affondava le sue
radici nella solida terra e nonostante non vi fossero sorgenti d’acqua e la
caverna impedisse alla luce dei soli di penetrare, queste erano rigogliose e
lussureggianti. Un altro dettaglio che le balzò subito all’occhio, fu la
mancanza d’illuminazione artificiale. Eppure la caverna era molto luminosa: da
dove proveniva allora quella fonte di luce? La guerriera provò a seguire i tratti del
labirinto che le sembrarono maggiormente illuminati, tuttavia non trovò altro
che vicoli ciechi.
Stanca di avanzare senza un buon piano, provò a sfruttare
una siepe costituita da rovi, per arrampicarsi e scrutare così il dedalo dall’alto,
ma non appena sfiorò il primo ramo, questo si mosse con riluttanza e dopo
alcuni secondi bruciò, proprio com’era accaduto alle lucertole.
La guerriera si
guardò le mani con stupore, l’armatura era talmente leggera che per un momento
aveva dimenticato di averla indosso. Le serrò in piccoli pugni e con forza
colpì i rovi dinanzi a lei. Ma le radici si mossero in fretta, aprendo un varco
che permise alla guerriera di superare il muro. Questi poi si richiusero su se
stessi, diventando tutt’uno con la roccia della caverna. Xera riuscì a mantenere
l’equilibrio, nonostante la reazione improvvisa della siepe l’avesse spiazzata.
Quando tuttavia eseguì la medesima strategia con l’ennesimo muro, si
accorse che il varco l’aveva ricondotta all’ingresso del dedalo. Le lucertole,
infatti, erano ancora lì che tentavano di entrare nel labirinto.
La guerriera comprese che cercare di distruggere i muri sarebbe stata una perdita di
tempo e guardandosi attorno, cercò con gli occhi dei punti di riferimento.
<<Se solo potessi scalare le
siepi!>> mormorò pensierosa. Solo allora ricordò quanto in alto le
permettesse di saltare la nuova armatura e caricando gli arti inferiori, si
slanciò con tutta la forza che aveva. Volse lo sguardo prima a Nord, poi a
Est e infine a Ovest (o almeno lo suppose) e tutto ciò che riuscì a scorgere,
prima di risentire delle ferite che ancora pulsavano, fu poco o niente. Quando infine
fu la volta di saltare verso Sud, notò con sorpresa che in quella direzione la
luce era più intensa. Con una nuova meta da inseguire, Xera si mosse cercando
di non farsi distrarre dalle bizzarrie del dedalo, così da non confondere i punti cardinali. Se per caso si sentiva persa, le
bastava saltare alla ricerca della fonte di luce e riprendere quindi il cammino.
A pochi metri dall'obiettivo, la guerriera accelerò il passo,
ansiosa di scoprire il mistero del labirinto. Si ritrovò tuttavia dinanzi ad un
nuovo vicolo cieco, alle cui spalle era celata la fonte di luce che Xera aveva rincorso
fino a quel momento. Istintivamente si preparò a colpire il muro, poi però,
temendo di essere ricacciata ancora una volta all’ingresso del dedalo, si fermò
a riflettere sul da farsi. Aveva camminato per ore senza rendersene conto e ben
presto la fatica sostenuta le cadde addosso inesorabile. Xera si accasciò a
terra, il suo corpo esigeva di riposare, nonostante Divaahr colmasse la
spossatezza con il vigore. Dalla bisaccia estrasse quel che restava delle sue
scorte di cibo: una parte l’aveva persa durante l’attacco delle lucertole.
Masticando a fatica della carne secca però, si sentì meglio e la sua
mente che fino a quel momento aveva faticato a mettere insieme anche le più
piccole idee, cominciò a lavorare senza sosta.
Xera bevve qualche sorso d’acqua
dalla borraccia, dosando il prezioso liquido che ormai era agli sgoccioli, ma
subito si fermò e osservando il contenitore di pelle, ebbe una folgorazione. A
differenza della caverna precedente, il dedalo non era né umido né ristagnate,
al contrario non vi era la minima traccia d’acqua. Ricordò che una volta
Elesya, proprio durante la raccolta di alcune piante, le aveva parlato di rari
esemplari che in assenza d’acqua si addormentavano, innestando un sistema di nutrimento
estremamente lento. “Saresti sorpresa nel vedere come intere foreste, sono alimentate da una singola fonte d’acqua”; le parole dell’amica le risuonarono in testa, suscitando in lei afflizione nel
saperla ancora in pericolo. Al tempo, non ebbe modo di chiederle cosa accadeva
a quelle piante se irrorate improvvisamente d’acqua, ma presto lo avrebbe
scoperto da sola. Afferrò la borraccia con entrambe le mani e in fretta la
svuotò sul muro di rovi dinanzi a lei.
All'improvviso le radici, prima
intrecciate, iniziarono a danzare fendendo l’aria in preda all’eccitazione.
Come fossero impazzite, si colpirono a vicenda per assorbire l’acqua raccolta nei
buchi del terreno, ignorando così la guerriera che ne approfittò per superare
il varco appena creato. Quando però giunse in quello che doveva essere il
centro del labirinto, i rovi la colpirono alle spalle scaraventandola a terra,
inerme. In qualche modo dovevano aver percepito le poche gocce che restavano
nella bisaccia e per loro Xera divenne presto un ostacolo da abbattere. Mentre in
precedenza non avevano fatto altro che colpirsi l’un l’altra, questa volta decisero
di far fronte comune, mosse dal desiderio di accaparrarsi la restante acqua. La
radice che aveva colpito Xera era finita in cenere, tuttavia non intimorì i
rovi superstiti che senza esitare si scagliarono contro la guerriera.
Rotolando
su se stessa evitò la prima sequenza d’attacchi, poi con gran prontezza di
riflessi, afferrò due radici con le mani, innescando quindi la loro
autocombustione. Alcuni rovi però fuoriuscirono dal terreno sorprendendo la
guerriera che, incapace di prevederlo, fu di nuovo atterrata. Ancora una volta
questi bruciarono e gradualmente il loro numero diminuì. Restarono ormai pochi
esemplari svegli e Xera, allo stremo delle forze, si preparò a scatenare il
colpo finale. Ma le radici si fusero tra loro, diventando un unico rovo al
quale spuntarono delle spine aguzze, secernenti del veleno denso come il miele.
Xera indietreggiò di qualche passo; non sapeva se Divaahr l'avrebbe protetta anche dal veleno, per cui pensò che un attacco fisico non fosse l’idea giusta
ma senza una spada tra le mani, quale altra scelta aveva?
Procedendo a ritroso,
si ritrovò al centro del dedalo e con sorpresa costatò che la fonte di luce era
un oggetto a lei familiare. Senza perdere tempo corse in direzione dell'altare da cui proveniva il chiarore e afferrando l’arma abbagliante tra le mani, colpì
con forza il rovo velenoso riducendolo a brandelli. Sventato il pericolo, Xera cadde in ginocchio stremata, ripensando a come i suoi amici - seppur
distanti - le fossero accorsi in aiuto. Stringendo tra le mani il robusto
Maglio di Reilhan, si sentì epurata dalla fatica e dalle ferite, che improvvisamente
svanirono sotto i suoi occhi. Il martello brillava intensamente, pur non
accecandola e dopo tanto tempo, Xera si sentì al sicuro avvolta dalla magia del
curatore. Quando il volto del suo compagno si materializzò nei suoi pensieri,
le venne un groppo alla gola. Ricordarlo succube di Goreha era insopportabile, decise quindi che quella maledizione non sarebbe durata un altro giorno
ancora.
Al centro del dedalo vi era solo il Maglio, senza il quale la caverna
sarebbe stata buia e invalicabile. Utilizzando l’arma come fosse una
torcia, Xera studiò le varie diramazioni che si estendevano dinanzi a lei e con
sorpresa si rese conto che la luce si faceva più intensa, se puntata in un’unica
direzione. Non le restò altro da fare che fidarsi del potere del maglio,
sperando di raggiungere presto l’uscita. Xera non incontrò più vicoli
ciechi, al contrario i rovi sembrarono intimoriti da quella fonte di luce che
inibiva i loro movimenti. Giunse così alla fine del dedalo che si mostrò entusiasta di liberarsi di lei; non a caso si richiuse velocemente alle sue
spalle, fondendosi con la roccia. L’ennesimo corridoio tetro la attendeva,
tuttavia questa volta il maglio avrebbe reso il passaggio più semplice. Superò
senza difficoltà diversi sistemi di caverne, protette solo dalle tenebre o
dalle solite lucertole che sconfisse in pochi minuti. Poi giunta all’ingresso
del castello vero e proprio, s’incamminò sulle articolate rampe di scale che, senza
alcun criterio, si diramavano verso l’alto fino quasi a toccare il soffitto,
anche se di questo non vi era alcuna traccia.
Le prime tre rampe non parvero
particolarmente anguste, però raggiunta la quarta, questa iniziò a crollare su
stessa, costringendo Xera a compiere enormi balzi per avvicinare le successive.
Quando anche quelle dinanzi a lei si sbriciolarono sotto i suoi occhi, la
guerriera si lanciò all’interno di una breccia nel muro che le permise di non
cadere nel vuoto. Le scale erano tutte distrutte, ma da quella posizione poté
intravedere l’accesso a un nuovo corridoio, benché per raggiungerlo avrebbe
dovuto scalare orizzontalmente le pareti, poiché una profonda voragine la
separava dall’uscita. Per prima cosa posò il maglio nella bisaccia che spinse
alle sue spalle, in modo tale da poter sfruttare la sua luce e al contempo non
esserne intralciata. Lentamente si aggrappò a delle sporgenze sulla parete,
facendo ben attenzione ad adagiare i piedi per avere un’equa distribuzione del
peso corporeo. Di tanto in tanto le capitarono zone particolarmente friabili,
tuttavia Divaahr le permise di non perdere l’equilibrio, accentuando la forza
delle braccia o dei piedi all’occorrenza.
Toccata infine l’ultima insenatura,
Xera scalò la parete restante e con non poca difficoltà, riuscì a raggiungere l’ingresso
scoperto in precedenza. Superò così l’ennesimo corridoio, sperando in cuor suo
che fosse l’ultimo.
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