Nonostante Xera fosse in inferiorità numerica, le
lucertole restarono immobili, forse in attesa di ricevere degli ordini. Questa
sensazione divenne certezza nel momento in cui la voce fredda della regina rimbombò
nella caverna. <<Sei ancora in
tempo! Arrenditi e accetta di diventare la mia schiava, proprio come i tuoi
amici!>> asserì, e a quell’ultimatum fece seguire una fragorosa risata
che impietrì Xera. Il calore sul suo viso però, la riportò alla realtà e senza
indugio rifiutò le condizioni imposte dalla regina. <<Preferisco combattere a mani nude, piuttosto
che piegarmi al tuo volere!>> esclamò. <<E sia!>>, Goreha si congedò e le lucertole iniziarono a
muoversi in maniera del tutto innaturale. Ogni loro singolo movimento era
ripetuto in sincrono; il sibilare della lingua, l’agitare della coda e il
serrare la mascella, era reiterato da ogni mostro nello stesso momento.
Questo
loro comportamento, indusse la guerriera a supporre che dinanzi a lei non vi
erano dei comuni animali ma esseri inanimati, frutto forse della magia di
Goreha. Per averne conferma, calciò con forza la lucertola a lei più vicina che
catapultata sulla parente opposta, si dissolse in una nuvola di fumo. <<Come pensavo!>> disse ad alta
voce. Ogni volta che un rettile si avvicinava, Xera lo ricacciava in dietro con
dei calci precisi e potenti, tuttavia le lucertole erano troppe e ben presto la
guerriera iniziò a stancarsi. Scrutando l’atrio, la ragazza cercò un appiglio
che le permettesse di sfuggire ai rettili, e proprio lì a pochi metri da lei,
notò una serie di rocce che avrebbe potuto raggiungere saltando. Xera iniziò a
correre senza mai voltarsi indietro e quando le lucertole le intralciavano la
strada, lei le calciava via con tutta la forza che aveva.
Raggiunta la
sporgenza, scalò la parete aggrappandosi alle insenature della roccia e toccata
la cima, fece leva sulle braccia per tirarsi su. Xera restò in ginocchio per
qualche secondo, da quando era entrata nel castello, non aveva fatto altro che
correre e gradualmente sentì le forze venirle meno. Quell’attimo di distrazione
però le costò caro. Le code appuntite delle lucertole si diramarono come
fossero rovi e attorcigliandosi attorno alle sue caviglie, la trascinarono a
terra con violenza. Per quanto provasse ad aggrapparsi alle rocce, queste erano
troppo bagnate e presto si ritrovò con le spalle a terra, ferita e immobilizzata.
I palmi e le ginocchia le pulsavano e il mento
bruciava. Xera, riparata dietro lo scudo, cercò di non farsi colpire dalle
lucertole, ma con le gambe legate divenne impossibile.
Sentì i loro artigli affilati, penetrare la sua carne e i piccoli denti aguzzi, morderle i gomiti. A stento
riuscì a coprirsi il viso con Divaahr. Al culmine del dolore, la vista iniziò
ad annebbiarsi e la forza pian piano scemò, rendendola una facile preda per le
zanne delle lucertole. Con il corpo e le vesti intrise di sangue, la guerriera
resto immobile tentando di resistere, mentre nella mente riaffiorarono i volti
dei suoi amici, ai quali si aggrappò con tutta se stessa. Non pensò mai di
arrendersi, nonostante la sua vita stesse volgendo al termine. E proprio quella
sua determinazione s’infuse nel metallo del suo scudo che vibrando funesto si
fece ancora più largo, fino a coprirle ogni singolo tratto di pelle. Divaahr
era diventato un’armatura. Xera riaprì gli occhi, come se si fosse destata da
un incubo. Per alcuni secondi a stento riuscì a ricordare il suo nome, poi pian
piano ogni cosa divenne più chiara e una nuova forza animò il suo corpo.
Non appena ritornò in piedi, si rese conto che il numero delle lucertole si era dimezzato,
ma non ne comprese subito il motivo. <<Perché non mi stanno più attaccando?>> pensò. La guerriera
guardò le sue mani, le sue braccia e infine gambe e busto. Ogni parte del
suo corpo era avvolta da un metallo leggero e resistente, una corazza
scintillante che dall’aspetto le sembrava familiare. Il bronzo e l’argento lunare
si fondevano alla perfezione, creando continuità nell’armatura, priva di punti
deboli. Quando poi provò a toccarsi il capo, ebbe un fremito che spinse la
ragazza a cercare una pozza d’acqua nella quale riflettersi. Nel momento in cui
mosse il primo passo, le lucertole indietreggiarono facendo scattare le zanne,
ma non osarono avvicinarsi.
Xera si specchiò in una
fonte non molto distante, e a malapena si riconobbe. Il suo capo era saldamente
protetto da un elmo d’argento con fregi di bronzo che si ripetevano su tutta l’armatura.
L’elmo era tondeggiante e compatto sul retro, del volto invece lasciava
scoperti gli occhi, la bocca e il naso. Sulla fronte inoltre si allargava e
allungava verso l’alto, superando di qualche millimetro le due punte di bronzo che
partivano dalle orecchie. Al centro della fronte vi era uno stemma che Xera
però non riconobbe e lo stesso motivo era riportato sul petto della sua
corazza. Quest’ultima, per aspetto, ricordava una casacca tuttavia solida come
il metallo e costituita interamente di argento lunare e bronzo. Nonostante il
materiale fosse molto resistente, si modellava alla perfezione seguendo le
sinuose curve del suo giovane corpo, conferendogli eleganza e femminilità.
Una
finissima cotta di maglia congiungeva i singoli pezzi dell’armatura, in
particolare i bracciali, che le coprivano gli arti dalle spalle ai polsi. Ancora
una volta la duttilità del metallo, fece si che i suoi movimenti non fossero
forzati, bensì assecondati e migliorati per giunta. Le mani erano protette da
dei guanti robusti e quando la guerriera provò a muoverle, si sentì più potente
di prima, pensando di dover colpire i suoi nemici con i soli pugni. Sebbene le
gambe risentissero ancora delle ferite inferte, riuscì a sopportarne il dolore,
essendo ormai protette da gambali e schiniere che le donarono maggiore
agilità e velocità. Persino i calzari erano circondati dal metallo di Divaahr e
non appena Xera provò a saltare, temendo fossero diventanti troppo pesanti,
notò con sorpresa che invece erano leggeri come piume.
Le sembrò di volare
quando, con un balzo, piombò inesorabile sui suoi avversari che bruciarono sino
a dissolversi, a contatto con l’armatura. La guerriera finalmente comprese
quale sorte era toccata alla maggior parte di quei rettili. A ogni colpo
inferto il suo corpo vibrava insieme al metallo, che caldo la avvolgeva,
infondendole sicurezza e coraggio. Persino il sigillo divenne semplice da
tenere a bada con l’ausilio di Divaahr e per la prima volta ebbe la certezza
che nessuna maledizione avrebbe interferito in quello scontro. Non appena le
lucertole iniziarono a diminuire drasticamente, le poche rimaste si
raggrupparono intorno alla guerriera. Poi, muovendosi di nuovo in sincrono,
emisero un suono assordante di cui tuttavia Xera non risentì, poiché l’elmo le
proteggeva anche le orecchie. Sventato l’ennesimo attacco, i rettili cambiarono
strategia e sfregandosi tra di loro, attivarono il veleno secreto dai solchi
sulla pelle.
Ogni bocciolo presente sui loro corpi squamosi si aprì, liberando un
gas tossico che rese l’aria irrespirabile. La guerriera indietreggiò di qualche
passo portandosi le mani al viso, e trattenendo il fiato, cercò con lo sguardo un’uscita
sicura. Un gruppo di lucertole se ne stava in disparte davanti al corridoio
sinistro, al contrario il destro era del tutto sguarnito. Xera allora non ebbe
più dubbi: c’era solo una via d’uscita, l’altra strada invece era un inganno.
Corse velocemente in direzione della porta sorvegliata e con la bocca piena d’aria,
si scagliò inesorabile contro i rettili, annientandoli tutti con un unico pugno.
Non indugiò oltre e afferrato quel che restava del mantello e della bisaccia, si
lasciò alle spalle il resto dei mostri, percorrendo il corridoio nonostante
fosse buio. Quando le tenebre la inghiottirono, rimpianse il bastone luminoso
che si era lasciata indietro, poi però qualcosa le illuminò il cammino e il
chiarore, man mano, si fece sempre più forte.
Xera continuò a seguire la luce e
alla fine del corridoio si ritrovò in un’altra caverna, più ampia della precedente,
al cui centro padroneggiava un labirinto di siepi che si estendeva a perdita d’occhio.
Alle sue spalle tuttavia avvertì ben presto lo strisciare delle lucertole che
ancora la inseguivano e non essendoci altre strade dinanzi a lei, decise di
inoltrarsi nel labirinto con la consapevolezza di essere finita nuovamente in
trappola.
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