L’uomo mascherato posò
sia il calice sia il pugnale, sull'altare e con entrambe le mani, innalzò una delle
sculture più preziose della collezione. Era costituita interamente da
Sillimanite: fatta eccezione per gli occhi che da quella distanza, mi sembrarono
di cristallo. Mentre sollevava la scultura, l’uomo si voltò e porgendoci le
spalle, continuò a invocare le sue preghiere.
Contemporaneamente tutti gli abitanti di Taseth abbassarono il capo,
fino quasi a sfiorare la terra con la fronte. Nessuno sembrò far caso a me, quando
avanzai di qualche fila per migliorare la mia visuale.
Mi ritrovai così, a
pochi passi dall'altare e assumendo la stessa posizione di tutti gli altri,
finsi di pregare. Dopo un paio di minuti, l’uomo mascherato posò la preziosa
effige su un piedistallo di marmo e cantando, tornò in possesso del calice e
del pugnale. Improvvisamente tutti smisero di parlare, compreso l’uomo e in perfetta sincronia, si portarono le mani al petto. Il silenzio allora, divenne insopportabile; non
avrei retto ancora per molto e sebbene l’istinto mi urlasse di scappare, decisi di aspettare fino alla fine, temendo per la vita della bambina.
L’uomo mascherato inserì ancora una volta il pugnale nel calice e
quando la lama fu completamente intrisa di sangue, lo puntò contro la fanciulla
distesa. Accadde tutto in pochi secondi e riflettendoci, ancora oggi non
rammento a cosa stessi pensando, poco prima di fiondarmi contro quell'arma. Non ebbi la possibilità di invocare la mia spada e senza alcuna difesa, mi frapposi tra la
lama e la bambina, cercando di portarla via dall'altare. Il pugnale penetrò la
mia gamba come fosse burro, ma non ebbi il tempo di realizzare il dolore lancinante che provai, poiché il mio unico desiderio, era quello di
proteggere la fanciulla che stringevo fra le braccia.
Stranamente pero, nessuno cercò di attaccarmi, né tanto meno di scacciarmi via: nei loro sguardi percepii solo paura. La bambina pianse spaventata, così senza far resistenza, la
lasciai tornare dalla sua famiglia, ritrovandomi circondata da una folla
incredula. L’uomo dietro l’altare allora, si tolse la maschera e guardando la mia
ferita, fu preso dal panico. In fretta abbandonò il pugnale a terra e in
preda al terrore, esortò i suoi concittadini a tornare nelle loro case. Mi ritrovai così da sola, al centro di un villaggio deserto.
Essendo
stata colpita da una lama sottile, la ferita non mi preoccupò, tuttavia cercai
di medicarla al meglio delle mie possibilità per non perdere altro sangue.
Bendato il taglio, mi sentii stranamente debole, come se avessi combattuto per giorni senza sosta. Ben presto mi accasciai sui gradini
della piazza e prima che ne rendessi conto, mi si annebbiò la vista. Chiusi gli
occhi istintivamente, ipotizzando che nella strana mistura in cui era stata
intinta la lama, ci fosse del veleno. Fu l’ultimo pensiero logico
che riuscii a formulare, poco prima di urlare a causa delle dolorose fitte che
mi paralizzarono la gamba.
Era come se nel sangue circolassero milioni di aghi appuntiti, che mi trafiggevano dall'interno. La ferita pulsava e bruciava e sopraffatta
dal mio stesso calore corporeo, iniziai a spogliarmi dell'indumento rubato qualche ora prima; se in quel momento, avessi perso il senno, mi sarei addirittura privata della mia stessa
pelle. La testa mi scoppiava e dall'occhio destro, divenne tutto buio come la notte.
Cercai disperatamente qualcosa in cui specchiarmi, ma riuscii a trovare solo un
piatto di metallo nel quale a malapena si scorgeva il mio viso. Lo avvicinai
quanto più potei alla mia faccia in direzione dell’occhio e sforzandomi di
riaprirlo (era serrato nonostante la mia volontà) lessi il terrore che
attanagliava il mio cuore, in una pupilla dorata e in una d’argento.
Scaraventai il piatto lontano da me, poiché pensai che riflettesse il viso di
un mostro e non il mio. Dopo l’occhio anche le orecchie iniziarono a sembrarmi
incandescenti, ma quando portai le mani sui lati del viso, non trovai nulla da
stringere. Fu in quel momento che il dolore si propagò dal cranio fino alla
fine della colonna vertebrale. Ricaddi a terra, incapace di muovere le
gambe e sentii la schiena in fiamme, poi al culmine del dolore, urlai a squarciagola e persi i sensi.
Quando mi risvegliai,
avvertii un intenso odore di zolfo, mescolato all'acredine di qualche mistura in
via di decomposizione, talmente insopportabile da provocarmi una forte nausea che mi
costrinse a rimettere più di una volta. <<Finalmente ti sei svegliata!>>. La voce di una donna si
propagò nella stanza e solo allora ne notai la presenza. <<Chi siete voi!>> domandai con un
filo di voce e la donna, uscendo dalla penombra, si fece avanti presentandosi.
<<Il mio nome è Zaharra, la curatrice di Taseth>>,
mi disse porgendomi un pezzo di stoffa per asciugarmi le labbra. <<Parlate la mia lingua?>>, <<Nel
nostro villaggio è proibito, ma tutti noi conosciamo la lingua degli
invasori>>.
Provai ad alzarmi dal letto ma la donna me lo impedì e
rimboccandomi le coperte, mi consigliò di riposare per qualche altra ora.
Zaharra era una signora anziana, infatti, aveva dei lunghi capelli bianchi, intrecciati
con fili variopinti che le donavano un aspetto stravagante. Era di statura
bassa e a causa dell’età, la sua schiena era ricurva. Aveva la pelle più scura rispetto a tutti gli altri e i suoi occhi erano azzurri come il cielo. La donna
indossava ancora le vesti da cerimonia, compreso il lungo velo vermiglio che
utilizzava come mantella. Incapace di camminare autonomamente, si reggeva a un bastone di legno bianco, con una
pietra nera all'estremità superiore. Ipotizzai allora che fosse una maga, piuttosto
che una curatrice. Zaharra, consegnandomi un bicchiere fumante, mi ordinò di
bere tutto di un fiato senza far storie ma non capii il senso delle sue parole,
fino al primo terrificante sorso (era così cattivo che se avessi potuto, lo
avrei subito sputato).
Appena lo bevvi però, mi sentii meglio. La donna allora
mi si avvicinò e sedendomi accanto, iniziò a pronunciare alcune formule che mi aiutarono a dormire. Non so per quanto tempo riposai, ma una volta sveglia, mi sentii al
pieno delle forze. Con un agile balzo, abbandonai il letto e prima che me ne
rendessi conto, ero in piedi. Persi l’equilibrio per alcuni secondi tuttavia,
in seguito a un capogiro ma non caddi a terra, poiché nella stessa frazione di
tempo, riuscii a raddrizzarmi istintivamente. Mi sentivo diversa.
All'improvviso con la coda dell’occhio, scorsi qualcosa muoversi alle mie spalle e temendo che
fosse un nemico, mi mossi velocemente in posizione d’attacco … dietro di me
però, non c’era nessuno. Dopo qualche secondo, lo intravidi ancora una volta e di nuovo mi voltai. Andai avanti così per qualche minuto, fino a
quando non cominciai a sentirmi ridicola. <<è inutile continuare a nascondersi, ti ho visto ormai!>>
urlai, sperando che chiunque si stesse prendendo gioco di me, uscisse allo
scoperto ma tutto tacque. Dopo l’ennesimo movimento sospetto,
persi la pazienza e rimasi immobile. Attesi solo qualche secondo e quando percepii
qualcosa alle mie spalle, chiusi gli occhi e lo afferrai. Provai stranamente
dolore, come se avessi stretto il mio stesso braccio e quando li riaprii, mi accasciai al pavimento senza parole. Tra le mani stringevo una lunga
e pelosa appendice bianca … la mia coda.
Cercai disperatamente uno
specchio nella piccola stanza, ma non trovai nulla nel quale potersi riflettere.
Fu allora che Zaharra tornò e dopo aver dato un rapido sguardo alla sua casa
prima ordinata, mi obbligò a sedermi e in particolare, m’invitò a lasciare la
presa della coda, temendo che potessi farmi male. <<Ho nascosto gli specchi perché prima che tu possa vedere il tuo aspetto
attuale, devi ascoltare ciò che ho da dirti>>, <<Scusate la poca riconoscenza ma dubito che questo sia il momento giusto per le vostre
storie, piuttosto fatevi da parte affinché io possa abbandonare la vostra casa>>.
Zaharra non rispose, si limitò a sollevare il bastone e a batterlo con
forza sul pavimento, vincolandomi al letto con delle funi magiche resistenti come il
metallo. <<Non permetterò a
nessuno di vederti e soprattutto, non metterò in pericolo la vita dei miei concittadini, lasciandoti vagare per Taseth>>
asserì, <<E come potrei ferire
qualcuno, se a malapena mi reggo in piedi?>> spiegai tentando di
liberarmi, <<Che tu sia distesa o retta sulle tue gambe, è irrilevante: quando il tuo sangue si è mescolato a quello della Dea, il solo fatto di essere sopravvissuta, ti ha reso il più grande dei
pericoli. Ascolta le mie parole, se ti preme vivere e dopo se vorrai,
sarai libera>>. La donna si accomodò sulla vecchia poltrona accanto
al letto e con voce ferma, narrò la sua storia.
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