I pensieri di Alea (parte prima)
Dopo cinque giorni di
viaggio, anche la taverna più umile diventava allettante: un giaciglio pulito e una vasca di legno, non chiedevo altro. Thesla era una capitale
giovane, se paragonata a Sihlya e Nortor e il caldo ardente, misto al forte
odore di metallo, contraddistinguevano questa città. Avevo viaggiato a lungo e
visitato luoghi inesistenti secondo le mappe ufficiali, ma Thesla, era l’unico
posto in cui non avrei resistito per più di due giorni.
Tutta la città era un
cantiere in costruzione, poiché ogni edificio era abbattuto dopo soli dieci
anni per essere poi sostituito con uno più moderno e all’avanguardia. Quel che
più mi preoccupava tuttavia, era il progetto che la Confederazione aveva in
mente: una volta attuato, la città sarebbe stata rasa al suolo. <<Quanto poteva valere un’utopia,
se paragonata alla vita di tutte quelle persone?>>pensai prima di
mettermi a letto.
Il Primo Sole era appena
sorto ma la temperatura si fece già insopportabile e l’aria divenne pesante. Approfittai
della vasca per rinfrescarmi, anche se quella piacevole
sensazione sarebbe sparita non appena in strada. Prima di andare, indossai i
miei abiti color sabbia: perfetti per chi non voleva dare nell’occhio in una
capitale costruita al centro di un deserto. I miei scarponcini erano a posto, i
pantaloncini e la camicia mi soddisfacevano (avrei preferito qualcosa
con più stile). Una sistemata ai capelli e sarei stata pronta.
Al mio viso
riflesso nello specchio, ormai, non ci facevo quasi più caso, preferivo piuttosto acconciare i miei capelli castani con una semplice coda di cavallo (per non perdere
troppo tempo). Passavano gli anni e non una ruga aveva segnato il mio volto: da quel
che potevo ricordare, non avevo mai avuto un aspetto diverso da questo. I miei
occhi erano sempre stati dorati e la mia pelle, perennemente giovane. Ricordare
poi, che parola grossa, se avessi rammentato qualcosa del mio passato, non
sarei stata di certo li.
Dopo aver pagato la
stanza, mi recai al mercato che si teneva accanto alla locanda. Era l’unico
luogo in cui il profumo del vento era diverso. Da una parte lo zucchero
caramellato, la cannella, il cioccolato, dall’altra il pungente odore della
paprica, il pepe (che mi faceva sempre starnutire) la noce moscata e tante
altre spezie di cui non conoscevo il nome. Non tutte le bancarelle del mercato
però avevano un odore gradevole. Passare davanti a quella delle carni (quando
la brace era spenta) mi faceva stare male: decisi allora di evitarla, tirando dritta per il negozio di pergamene e cianfrusaglie di Paru. In due
giorni ebbi modo di valutare quanta, della sua merce, fosse solo spazzatura e
quanta, invece, potesse valere davvero qualcosa: ciò nonostante, ogni oggetto di quel negozio era in vendita, persino la ciotola del suo gatto.
<<Oh! Signorina Alea, anche oggi mi onora
della sua presenza!>> mi disse Paru. Avrei giurato, dal tono della
voce, che non fosse molto contento di vedermi ma chi può biasimarlo, dopotutto non compravo
mai nulla dal suo negozio: una maledizione per un commerciante. <<Buongiorno Paru, vorrei vedere tutte le
nuove pergamene che le sono arrivate ieri notte!>> affermai decisa.
Lui mi guardò perplesso, poi però forse sperando di vendermi finalmente
qualcosa, mi condusse nel retro del negozio, ossia un ripostiglio impolverato e meno
curato nella disposizione della mercanzia. Un tavolo di legno fu sgomberato
alla buona poi Paru, mi consegnò i testi e accese una candela aromatica, forse per allietare la mia lettura o forse per nascondere il forte odore di polvere
nera "clandestina", che nascondeva da qualche parte.
Trepidante, ne lessi quattro senza sosta, poiché le lingue antiche di Baràt non erano
così difficili da decifrare … per me. Furono però inconcludenti e dopo la
quinta, pensai di andarmene spedita alla bancarella dei dolci: volevo annegare la
mia frustrazione in una buona tazza di the fumante e pasticcini. Lo so, sembra assurdo bere bevande calde quando la temperatura è insopportabile,
ma niente sa consolarmi come un buon the bollente.
Lessi le ultime tre
pergamene e come avevo temuto, nessuna di queste conteneva informazioni che
mi potessero interessare. Quando feci per alzarmi, Paru si avvicinò porgendomi un documento appena arrivato (insieme a delle tazzine e a delle teste di bambole
raccapriccianti: che carico bizzarro).
<<Signorina Alea, la prego, prenda questa
pergamena; sono sicuro che non resterete delusa>> mi disse
speranzoso.
<<È quello che sostenete sempre Paru, eppure non ho
ancora acquistato nulla>> gli risposi stizzita.
<<Questa volta comprerete, sono sicuro, sono
sicuro!>> come se ripetere la stessa frase due volte, potesse
renderla più veritiera. Poiché il documento giunse in compagnia di un
piatto di biscotti secchi, accettai di dargli uno sguardo ... e non me ne pentii.
Sin dalle prime righe,
riconobbi gli stessi simboli che cinque anni prima avevo ritrovato, in un vecchio diario, ai confini delle rovine di Candhelia. In alcuni punti però era illeggibile, poiché l’inchiostro si era
cancellato nel tempo. Mettendo insieme tutti i pezzi, mi appuntai delle
coordinate su un frammento di pergamena. D’accordo, non dovevo farlo: in cambio di una lettura preventiva, avevo
promesso di acquistare il documento che avrei ritenuto interessante e Paru, seppur con riluttanza, aveva accettato (cosa di
cui si era subito pentito). I prezzi di quel negozio però erano troppo alti e
non tutto era accessibile per le mie tasche: l'onestà tuttavia, era un sentimento svalutato in
quel posto, perché avrei dovuto comportarmi diversamente? Conoscere il mio
passato dopotutto, era l’unica cosa che contava.
Alla fine del documento, doveva
esserci stata una mappa in origine, ma il foglio era stato strappato. <<Dannazione!>> pensai, ogni volta che m’illudevo di essere vicina
alla verità, una pagina mancante o un’informazione tradotta male, mi riportava
al punto di partenza.
<<Paru, questo documento non è
completo!>> urlai, sfogando una parte della mia frustrazione.
<<Per Aseth, che succede Signorina, se urla in
questo modo, i miei clienti scapperanno via!>> rimproverò e questo mi rese ancor più nervosa ... nonostante
avesse ragione.
<<Un momento, cosa avete detto?>>
domandai, qualcosa nelle parole di Paru, mi sembrò familiare.
<<Scusate Signorina, non volevo essere
scortese ma lei ha alzato troppo la voce, capisce?>> si scusò
mortificato (dovevo averlo intimorito).
<<Non intendevo minacciarvi>> mi
giustificai, <<Il nome che avete
pronunciato Aseck, Asehl …>>,
<<Aseth?>> mi corresse, <<Esatto,
proprio quello: è presente anche in questo documento incompleto>>
tenni a sottolineare il fatto che fosse mancante della mappa, sperando che se
avessi deciso di comprarlo, mi avrebbe fatto un prezzo di favore.
Paru lo guardò
per pochi minuti, ebbi la sensazione che ne conoscesse già il contenuto e
naturalmente questo rese tutto molto più interessante, per me s’intende: amavo estorcere
informazioni. Assunsi un’espressione più seria e lo fissai intensamente fino a
quando non cominciò a sudare.
<<Ebbene Paru, mi dica: chi è Aseth?>>
quando pronunciai ancora quel nome, il mercante mi zittì.
<<Nel mio villaggio pronunciamo il suo nome solo se è proprio necessario>> mi disse, nonostante poco prima l’avesse
quasi urlato per rimproverarmi.
<<Non si scherza con le divinità>>
continuò, << Se poi parliamo di lei
… beh, tanto vale tagliarsi la lingua>>.
Improvvisamente mi vennero i brividi (non che certe pratiche mi turbassero) e l’atmosfera divenne pesante.
<<Sono sicura che nel documento ci fosse
anche una mappa! Guardate! In questo punto manca una pagina>> gli
indicai i frammenti che ne erano rimasti ma lui non li degnò di uno sguardo,
fu allora che capii chi possedeva il foglio mancante.
<<Quale mercante distruggerebbe la sua
merce?>> gli domandai, sperando di sfruttare il suo orgoglio a mio
vantaggio. Lui mi guardò preoccupato: avevo appena fatto centro.
Si sedette sulla sedia accanto al tavolo di legno, non lo avevo mai visto così, nemmeno dopo
avergli fatto esporre tutti i pezzi di una vetrina fin troppo
assortita; ma se volevo quella mappa non potevo agire diversamente.
<<Allora Mercante Paru, detto anche “l’onesto” (lo inventai al momento),
vuole forse mettere a rischio la sua reputazione?>> forzai la mano ed ebbi successo.
Il mercante mi spiegò che Aseth era una dea venerata non solo nel suo villaggio ma anche in tutti
quelli limitrofi, tuttavia con il passar del tempo, nauseata dall'uomini, preferì ritirarsi in una fortezza di cui nessuno conosceva l’esatta
ubicazione. La mappa che aveva strappato dal documento, mi avrebbe condotto
proprio a Taseth (il suo villaggio) ma avendo fatto un giuramento alla sua
famiglia, ossia di non divulgare la posizione di questo e quindi di non farvi
più ritorno, poco prima di consegnarmela (distrutto dal rimorso) si rese conto che avrebbe infranto l’ennesima
legge di Taseth e benché esiliato*, volle rispettare la parola data.
(* Secondo la legge,
chiunque osasse abbandonare i propri parenti senza il loro consenso, sarebbe
stato bandito).
<<Mi dispiace Paru, ma oltre alla mappa, il
documento contiene anche delle coordinate precise; forse nella fretta non ci
ha fatto caso>> gli comunicai e lui sembrò sul punto di piangere.
<<Mi renda la mappa, in cambio io acquisterò il suo
documento più qualche altro oggetto del negozio e le prometto inoltre, che
una volta raggiunta Taseth, non farò mai il suo nome!>>.
Quando pronunciai la
parola “acquistare”, gli s’illuminarono gli occhi ma solo più tardi avrei capito perché tutti l'avessero
soprannominato “il subdolo”, piuttosto che l’onesto: ero stata raggirata.
E' bello,continua cosi'. Non vedo l'ora di leggere il seguito.
RispondiEliminagrazie :D
Elimina