Elesya camminò per circa
un’ora prima di crollare esausta al centro di una pozza semi
prosciugata. <<Dove siete finiti?>> sospirò malinconica. Una
piccola lacrima rigò la sua guancia che la sorprese non poco. Sfiorò il volto
con delicatezza, le mani sporche di fango le impiastricciarono la pelle ma il
calore di quella goccia l’aveva attirata come una falena bramante di luce. Le
sue dita erano intorpidite dal freddo e la pelle avvizzita le graffiò la guancia
riportandola alla realtà. In passato la vista delle paludi l’aveva sempre
confortata, poiché legate ai soli momenti felici in cui suo padre era presente.
Eppure in quel preciso istante non desiderò altro che fuggire.
Una mano scheletrica le
afferrò la caviglia, trascinandola contro la sua volontà verso uno stagno molto profondo. L’arto
fuoriusciva dalle acque mentre il resto del corpo era totalmente sommerso.
Elesya trasalì terrorizzata, ma a nulla servì ribellarsi perché la forza del nemico era superiore alla sua. Con l’ausilio della staffa colpì le ossa che la attanagliavano, tuttavia questo non servì a
liberarla dalla presa. Infine quando le gambe erano ormai prossime a sfiorare
le gelide acque melmose, evocò una spessa catena nera che scagliò al centro
della barriera nebbiosa, sperando in cuor suo di trovare un appiglio al quale
fissarla. Benché mancasse poco, il giogo metallico non si era ancora fermato;
fino a che sul punto di arrendersi, chiuse gli occhi e strinse i denti.
Fu in
quel momento che un improvviso strattone la scosse in maniera brusca. La catena
iniziò a tendersi come una corda di violino e finalmente Elesya poté esercitare
i suoi poteri affinché la sua fine fosse meno miserevole. Con un calcio ben assestato
alla giuntura del polso separò la mano dal resto dell’arto, cosicché la catena poté trasportarla il più lontano possibile. Ben presto fu in grado di rialzarsi e con gli abiti
infangati, s’incamminò verso il punto d'ancoraggio della catena. Dopo
aver percorso un’ingente distanza, Elesya si ritrovò al centro di uno spiazzale
circondato dalle acque. Non vi erano forme di vita, fatta eccezione per il
muschio umido sugli argini delle paludi che secerneva uno sgradevole aroma. Elesya strattonò con forza
la catena ma, dall'altro capo, qualcosa oppose resistenza. Strattonò allora una
seconda volta e di nuovo non riuscì a divincolare il giogo oscuro. Avanzò così
di qualche passo e superato il centro dell’isolotto, si ritrovò circondata dalla coltre di nebbia. Incapace di orientarsi, decise di procedere alla cieca con il solo
braccio libero proteso dinanzi a lei.
Un sibilo improvviso e un gelo
inaspettato le avvolsero l’arto, seguito da un tonfo che le ricordò un sasso scagliato nell'acqua. A essere lanciata però non fu una roccia. Il dolore la destò
dallo stato di shock in cui era crollata, con fitte terribili che le accapponarono
la pelle.
Elesya ritrasse il braccio e con orrore si rese conto che dal gomito
in giù non vi era più nulla. Brandelli di muscoli e pelle lacerata, questo restava
del suo arto destro. La giovane maga urlò a squarciagola. La staffa ricadde
pesantemente sul terreno e così Elesya, tremante e con gli occhi ricolmi di
lacrime. <<Siamo pari adesso>> sibilò una voce alle sue spalle,
ma la leva era ancora scossa per cui non se ne curò.
Fu un fulmine amaranto, scoppiato a pochi metri dalle sue gambe, che la indusse a reagire. Per prima raccolse la staffa poi, con l’ausilio di questa, si rimise in piedi sebbene le forze continuassero a venirle meno. <<Ferma l’emorragia o morirai>> mormorò Vheles ed Elesya la assecondò lasciando subito la presa dell’arma, che mantenne la posizione eretta benché nessuno la stesse brandendo. In seguito strappò un lembo del vestito e con i denti lo strinse più che poté attorno al moncone. Le lacrime non smettevano di sgorgare e nonostante Elesya si sforzasse di restare lucida, la sola vista della ferita riusciva a destabilizzarla.
Fu un fulmine amaranto, scoppiato a pochi metri dalle sue gambe, che la indusse a reagire. Per prima raccolse la staffa poi, con l’ausilio di questa, si rimise in piedi sebbene le forze continuassero a venirle meno. <<Ferma l’emorragia o morirai>> mormorò Vheles ed Elesya la assecondò lasciando subito la presa dell’arma, che mantenne la posizione eretta benché nessuno la stesse brandendo. In seguito strappò un lembo del vestito e con i denti lo strinse più che poté attorno al moncone. Le lacrime non smettevano di sgorgare e nonostante Elesya si sforzasse di restare lucida, la sola vista della ferita riusciva a destabilizzarla.
Un secondo attacco magico la colpì al centro dello
stomaco, scagliandola a diversi metri dalla sua arma. Gli abiti erano bruciati
e la ferita sull'addome pulsava senza sosta. Il dolore lancinante le fece
perdere i sensi, tuttavia il potere di Vheles riuscì a ridestarla giusto in
tempo per evitare il terzo attacco. <<Dov’è finito il tuo potere,
strega!>> la voce invase i suoi pensieri, <<Credevo che la mia assassina fosse meno deludente>>. Elesya sbarrò gli
occhi e un brivido freddo le percorse la schiena. Un varco si aprì nella nebbia
e ne scaturì un uomo dall’aspetto smunto e con profonde occhiaie che gli
solcavano la pelle. I capelli bagnati erano appiccicati al viso, avvolti da
una strana pianta acquatica che scendeva fin sotto il collo. Gli abiti erano
lacerati e in alcuni punti erosi dalla muffa. In una mano impugnava un bastone
di legno a prima vista di fattura comune, l’altro arto invece era stato reciso.
L’uomo sollevò il braccio amputato e lo indirizzò verso la giovane maga.
<<Ti farò a pezzi e tingerò queste acque col tuo sangue>>.
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