Il camino emanava un
flebile calore, segnale che il fuoco era sul punto di estinguersi. I ciocchi di
legno erano diventati carbone che a malapena baluginava, perché ricoperti da un
ricco strato di cenere bianca. Per due giorni quel focolare era stato
alimentato senza sosta e all’alba del terzo, restava ormai ben poco da ardere
nella cesta accanto al camino. Il calderone, adagiato alla solida struttura di
ferro battuto, era diventato freddo da diverse ore e il suo costante ribollire
aveva ceduto il posto a un forzato silenzio. Solo il profondo respiro della
donna appoggiata al bancone, interrompeva la quiete in una singolare
alternanza. Sul divano invece, la fanciulla dai capelli scarlatti era ancora
immersa in un sonno senza fine, respirando a malapena. Soltanto il lento
movimento delle costole, tradiva il triste aspetto che aveva assunto in così
poco tempo.
I raggi del primo
sole varcarono con forza le spesse assi di legno che serravano le finestre e
lentamente l’angusta stanza cominciò a cambiare colore. L’oscurità divenne
ombra che a sua volta si fece subito chiarore. La Paramal si svegliò di
soprassalto, forse vittima di uno di quegli incubi che da sempre perseguitavano
i suoi sogni. Erano iniziati quando era solo una bambina: un flusso di voci
e volti in costante ricerca d’aiuto e per i quali nessuno avrebbe potuto fare
più nulla. Nonostante l’avanzata età, l’angoscia arrecata da quelle visioni non
l’aveva mai abbandonata, tuttavia sapeva bene che le sarebbero bastati un sorso
del suo intruglio preferito e una buona boccata alla lunga pipa per tornare
alla normalità.
In pochi minuti la
dimora si riempì di quel tanfo che per certi versi ricordava l’incenso, se non
fosse stato per il nauseante profumo della donna che si era mescolato con il
fumo della pipa. La boccetta d’argento con il marchio della sua famiglia (un
volto caprino con tre occhi, circondato da delle fiamme che lo incorniciavano) era
adagiata sul bancone con il tappo ricurvo; un unico sorso non le era bastato. Il
forte aroma di alcol, mescolato alla soluzione grigia contenuta della boccetta,
aveva invaso la sua gola fino ad arrivare alle narici e subito la calma s’impadronì
di lei. Madame Taròt si sollevò a fatica dalla sedia di legno che per due
giorni era stata il suo unico giaciglio e la vecchia schiena presto le ricordò quanto
in la fosse con gli anni. Superato il divano di velluto accanto al camino, si
accertò che la sua ospite fosse ancora viva, sebbene il suo aspetto dicesse il
contrario. La donna afferrò il fantoccio deposto ai piedi di Xera e voltandolo constatò
che tutto fosse apposto, ma mancava poco ormai e dei due ragazzi
non vi era nessuna traccia. Attraverso le carte aveva provato a seguire
i loro movimenti, ma con scarsi risultati. <<Che siano morti?>> pensò scrutando da una feritoia sulla
porta che le permetteva di osservare la strada. Tornata infine accanto alla fanciulla, le depose delicatamente una mano sulla fronte per poi ritrarla in fretta. <<Mi dispiace bambina>> disse con rammarico. La pelle pallida della fanciulla era diventata anche molto fredda e se il rimedio non fosse giunto in tempo, niente e nessuno l’avrebbe più salvata.
Presto anche il
secondo Sole fece capolino avvolgendo con il suo calore la vecchia dimora. Il
respiro di Xera si fece più flebile e il movimento del petto divenne
impercettibile. Madame Taròt allora cercò di somministrarle dell’altra minestra,
ma la fanciulla non riusciva più a deglutire. Con la stoffa candida in cui erano stati avvolti i preziosi frammenti, le asciugò le labbra e con le dita si accertò
che il suo cuore battesse ancora. Sempre più tempo però intercorreva tra un battito
e l’altro, fino a quando i secondi divennero minuti e i minuti, un tempo
indefinito. La veggente si strinse le braccia intorno al corpo, incapace di esprimere
le diverse emozioni provate in quell'instante. Titubante, si chinò sulla
guerriera cercando di sollevarle le spalle e fu in quel momento che notò qualcosa di davvero
insolito. Alcune ciocche erano diventate canute; sottili fili argentei si erano mescolati alla chioma scarlatta della fanciulla. Madame Taròt li sollevò per
osservarli più da vicino e presto un prepotente battito cardiaco rianimò il
corpo di Xera. Subito la donna arretrò, il suo istinto, infatti, le diceva di stare
lontana e lentamente sempre più fili argentei ricoprirono il capo della
guerriera. Il cuore accelerò e il pallore sul suo volto svanì ma non del tutto.
La Paramal tuttavia si fece coraggio e tornata al suo capezzale, le alzò la palpebra destra. Poté quindi riprendere a respirare, poiché gli occhi della fanciulla avevano mantenuto la
colorazione originale e questo poteva significare solo una cosa: c’era ancora
tempo. Agitò il polso e tra le mani le comparvero tre carte. La prima era uno
dei suoi scheletri che una volta materializzato, circondò la ragazza con le sue
catene. Il respiro affannoso si placò pian piano ma non fu sufficiente.
La seconda carta invece era la Forza, l’unica in grado di contenere i movimenti
della giovane leva. Infine evocò l’ultima carta. Una donna dai fluenti capelli vermigli
come il sole al tramonto, si materializzò.
I suoi occhi erano più azzurri del cielo stesso e simili a lame affilate scrutarono
la dimora. Le grandi ali glauche poggiate sulla schiena si mossero appena,
seguendo i movimenti ondulatori compiuti dalla donna. Indossava una veste
leggera color erba che ricordava la seta, sebbene il tessuto sembrasse non
appartenere al mondo terreno. Nella mano destra la donna cingeva una giara contenente
del vino, nell’altra invece, una seconda giara ma ricolma d’acqua limpida e
fresca. Benché fossero di discrete dimensioni, non sembrava affaticata e con
naturalezza sollevò la giara con l’acqua e l’accosto alla gemella, versandone tutto il contenuto che andò a trasformare il livido nettare in acqua pura.
La
donna prese un calice e lo riempì fino all’orlo senza versarne neanche una
goccia e seguendo le indicazioni della Paramal, si accostò alla fanciulla
riversa sul divano. I suoi occhi indugiarono a lungo su Xera, al punto che
Madame Taròt dovette schiarirsi la gola ben due volte prima che lei eseguisse i suoi ordini. Con una mano le sollevò il capo e subito, al solo
contatto, Xera sembrò tranquillizzarsi. Poi lentamente le accostò il bicchiere
alle labbra, cosicché la guerriera bevesse il misterioso liquido. Non appena il
bicchiere fu svuotato, le catene e lo scheletro svanirono, seguite dalla
fanciulla e dal fido leone che fino a quel momento avevano bloccato le braccia
di Xera. Anche le due giare sparirono in fretta al contrario della donna che,
inginocchiata al capezzale della fanciulla, iniziò ad accarezzarle il capo fino
a quando ogni filo argenteo fu estinto. <<Puoi andare adesso!>> intimò la vecchia veggente infastidita dall'insubordinazione della sua carta. <<Ancora qualche altro minuto!>> rispose la donna, ignorando lo
sguardo truce che Madame Taròt le aveva rivolto. <<Temperanza, la prossima volta non te lo ripeterò>> ribatté
scura in volto <<Non sei sua Madre!>>.
La donna si voltò di colpo fulminando la Paramal che tuttavia non sembrò per
nulla intimorita, per poi sollevarsi in piedi e dischiudere le grandi ali che riempirono
la stanza di piume. Nel momento in cui queste ultime svanirono, la donna era tornata a
essere una comune carta che la veggente ripose nel mazzo. Xera era
ritornata alla normalità e il suo respiro calmo e leggero tranquillizzò finalmente
Madame Taròt.
...
Un'improvvisa sferzata
di vento gelido rabbrividì la vecchia signora, benché ogni finestra fosse stata
accuratamente sigillata, ma la casa aveva fatto il suo tempo ormai e di
spifferi ve ne erano fin troppi. Il vento però si fece più insistente e i vetri scricchiolarono mossi dal pressante flusso d’aria. Da poco era
giunta la sera ma le fosche nuvole cariche di pioggia che avevano conquistato
i cieli di Kodur, anticiparono l’avanzare delle tenebre. Soltanto qualche lampo
sporadico illuminò le strade del villaggio e di riflesso anche l’angusta
dimora. Presto la pioggia iniziò a cadere, prima lentamente e infine sempre più impetuosa, bagnando tetti, strade e tutti coloro che ebbero la
sfortuna di essere per strada durante il temporale. Madame Taròt aveva riempito
la stanza di piatti e bicchieri, con il compito di raccogliere l’acqua piovana
che filtrava dalle fessure del tetto, ma quella sera non furono sufficienti e
più volte fu costretta a svuotarli per poi rimetterli al loro posto. Il camino
scoppiettava ma il calore che produceva non servì a scaldare quelle fredde
mura. Quando la veggente gettò nel fuoco dell'altra legna, questo si ravvivò abbastanza
da scaldarla momentaneamente tuttavia la donna non poté godere a lungo del
ritrovato tepore, poiché l’uscio della dimora si spalancò all'improvviso.
Madame Taròt
sobbalzò alla vista delle due sagome che si stagliavano all’ingresso. Solo un
fulmine scoppiato in quel frangente, rivelò la loro identità. Il curatore e la
giovane maga erano visibilmente provati. I loro abiti erano logori e bagnati, e
diverse ferite sparse sul loro corpo, indussero la donna a pensare che la
missione non fosse stata una passeggiata. I due ragazzi si chiusero la porta
alle spalle ma l’unica cosa che Reilhan riuscì a dire riguardava
la salute dell’amica e così tranquillizzato dalle parole della veggente, si mise a
frugare nella sua bisaccia. Elesya si accasciò sul pavimento con la schiena
rivolta al muro, mentre il curatore si avvicinò zoppicando al divano, con un
rigoglioso mazzo di piccoli fiori cobalto in mano. Madame Taròt afferrò i fiori
e diretta al bancone, iniziò a estrarne il nettare pestando le radici in una
ciotola. Una parte del mazzo (la più importante) la nascose invece in una
delle sue credenze, ma i ragazzi erano troppo stanchi e non se ne resero conto.
La Paramal mescolò la sostanza ottenuta con la minestra che ribolliva nel
calderone di peltro e con un mestolo ne versò una sostanziosa porzione in una
ciotola. Subito la consegnò a Reilhan che sino al quel momento era restato
accanto all’amica, stringendole la mano. <<La deve mangiare fino all’ultimo boccone>> spiegò Madame
Taròt, porgendogli anche un cucchiaio di legno. Il Novizio eseguì l’ordine e in
men che non si dica la ciotola fu svuotata. Durante l’attesa, la Paramal chiese
alle leve spiegazioni in merito al loro aspetto, così Elesya le narrò per filo
e per segno, quanto era accaduto.
<<Le acque ci avevano quasi
inghiottito>> aggiunse Reilhan, <<e quando i miei polmoni erano sul punto di arrendersi, qualcosa di
viscido e nero mi ha cinto la vita trascinandomi sulla riva>>. Elesya
arrossì e Madame Taròt la fissò <<
Se non fosse stato per lei, noi oggi non saremmo qui>> rivelò il
Novizio colmo di gratitudine. <<Ho solo
evocato le mie funi, sebbene continui a ripetergli di averlo fatto inconsciamente;
io non ho alcun merito>> si giustificò la fanciulla abbassando lo
sguardo ma Reilhan scosse il capo con insistenza. <<Non soltanto mi ha salvato, ma ha persino ritrovato la barca. Perciò finita
la tempesta, abbiamo ripreso il viaggio. E non è tutto>> continuò a
spiegare il Novizio gesticolando con vigore. <<Nel momento in cui abbiamo raggiunto la scogliera, ci siamo resi conto che non
conoscevamo l’aspetto della pianta e le onde che sferzavano la terra, non ci
permettevano di raggiungere il bordo della montagna. Escludendo quindi tutte
quelle presenti nei prati adiacenti e che entrambi conoscevamo, eravamo sul
punto di tornare indietro quando una delle onde ha superato in altezza la
scogliera, portandoci con sé. Per fortuna sono riuscito ad aggrapparmi a una
sporgenza, pur ferendomi una gamba. Elesya invece è caduta a pochi passi dal
mare su di uno scoglio piatto>>. La ragazza rabbrividì distogliendo
lo sguardo dal curatore per allontanare i brutti ricordi. Il gomito le faceva
ancora male così come la testa.
<<Solo
in quel momento ho potuto scorgere dei fiori tra le brecce nella roccia e cercando di
non cadere, sono riuscito a strapparne un nutrito mazzo. Le braccia e il piede
però non sono stati in grado di sostenere il mio peso a lungo, senza contare
quello del Maglio che avevo sulle spalle. È allora che Elesya è intervenuta di
nuovo>>.
La Paramal ascoltò
in silenzio e fu così che apprese come la magia della giovane maga
aveva permesso loro di salvarsi da morte certa. Ne avevano guadagnato diverse
ferite, ma presto il potere del curatore avrebbe posto rimedio. Sebbene Reilhan
non facesse altro che elogiare la sua amica, Elesya non smise mai di ripetere
che tutte le azioni da lei compiute erano state frutto del caso e che la
maggior parte delle volte, la sua magia aveva agito autonomamente. Soltanto Madame Taròt trovò quella spiegazione insolita. <<Che peccato, avrei voluto esserci anch’io!>> una flebile voce
interruppe il racconto del Novizio. Tutti e tre si voltarono in sincrono scorgendo Xera che li osservava perplessa. <<Cosa c’è?>> fece lei stanca dei loro sguardi insistenti.
Reilhan subito la raggiunse cingendola in un lungo abbracciò, durante il quale
a stento riuscì a mascherare la sua commozione.
<<Potrei iniziare a pensare che ti piaccia, se stringi ancora un altro po’>>
affermò Xera sarcastica <<Non te ne
stai lamentando però>> rispose a tono il Novizio separandosi da lei
suo malgrado. Xera arrossì ma non ebbe il tempo di controbattere poiché anche
Elesya le era saltata al collo. La guerriera ricambiò il gesto affettuoso, seppur persino alzare le braccia le risultò molto faticoso. Quando la mano sfiorò
involontariamente il collo della maga, Xera avvertì un fremito raggiungerle la spalla, proiettando nella sua testa una serie di immagini nefaste alle
quali, inerme, fu costretta ad assistere.
Auguri per la 100 pagina. Brava.
RispondiEliminaGrazie mille :)
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